Binari dimenticati Ambiente

Una delle storie che raccontava Indro Montanelli era quella dei due matti. Il primo diceva: “Io sono Napoleone”, il secondo: “Ho risanato i debiti delle ferrovie”. Dall’unità d’Italia la vendita dei biglietti non copriva le spese e lo Stato saldava il deficit. Poi, con tagli feroci al personale, agli impianti, alle linee improduttive, si è raggiunto un certo equilibrio. Dalle nostre parti sono finiti nei tagli binari ultracentenari: l’Avellino - Rocchetta, l’Isernia - Sulmona e la Benevento - Campobasso. Per la precisione i binari per Campobasso non sono tagliati ma sospesi al traffico.

Hanno riproposto il problema due politici sanniti, mentre dal Molise non si sono avute prese di posizione ufficiali. Il consigliere comunale Marcello Palladino ha chiesto un minimo di manutenzione per i tratti che interessano le contrade Beneventane (taglio della vegetazione, disinfezione, regolamentazione delle acque piovane).

Il presidente della Provincia Ricci ha fatto un discorso più ampio. Ripristino di una coppia di corse, una eventuale corsa turistica festiva. Fin dai tempi di Carlo d’Angio Benevento ha avuto difficoltà a collegarsi con le terre vicine per la diffidenza del governo pontificio. Contrabbando, fuoriusciti, incidenti di frontiera, sindrome di accerchiamento.

Nel 1854 i soldati borbonici furono costretti a demolire, sul confine a Fragneto Monforte, un tratto di strada che doveva attraversare la terra del Papa. Non ebbe miglior esito la supplica di possidenti e notabili locali per un collegamento ferroviario con Napoli.

Il Regno delle Due Sicilie, volendo raggiungere la Puglia, attraverso la Valle Caudina, giunse ad affidare, senza esito, ad una ditta inglese la concessione… si dovette aspettare Garibaldi.

La commissione governativa per il riordino ferroviario puntava sull’itinerario Napoli - Amorosi - Fragneto - Campobasso - Termoli, tagliando fuori il capoluogo del Sannio.

Ancora nel 1862 gli interessi di Avellino e Caserta causarono indecisioni e ritardi. Un privato, appoggiato da un deputato, giunse a costruire, a proprie spese, un ponte sul fiume Calore, nel tentativo di condizionare il progetto, mentre la potente famiglia Torlonia puntava sulla piana del Fucino.

Intervenne anche lo Stato maggiore che, per motivi strategici, immaginava un itinerario appenninico Firenze - L’Aquila - Isernia - Benevento - Avellino - Eboli. Dopo tante discussioni la prima stazione i beneventani la vedranno nel 1869. Risolto il tracciato della Napoli - Foggia, nel 1879 viene approvato il progetto per Campobasso. I lavori iniziano nel 1881, in direzione di Pietrelcina. Non vi sono grosse polemiche, tutti vogliono la ferrovia, vista come simbolo di civiltà.

Carducci qualche anno dopo, con il suo “Inno a Satana” canta nel fumo e nel fuoco delle vaporiere il novello Lucifero, portatore di luce contro l’oscurantismo dei sacerdoti di Geova.

Malgrado le difficoltà climatiche e il territorio aspro e montano, i lavori sono rapidissimi, si costruisce perfino uno stagno. Le prime locomotive si rifornivano di acqua sfruttando fiumi e torrenti.

Lo stagno, chiamato Pompa, esiste ancora e andrebbe valorizzato per la sua vicinanza a Benevento.

Per meglio comprendere la diversa situazione ambientale si pensi ai “lupari”, i cacciatori di lupi che ricevevano un premio dai comuni per ogni animale abbattuto.

Ancora, nell’inverno del 1910, una mia zia, la signora Maria Bagnoli, dovette difendersi a colpi di scopa, da un lupo affamato entrato dalla finestra.

I caselli e le stazioni, oltre ai “cessi”, avevano un giardinetto, il pozzo, il forno per il pane. Gli operai che posano i binari vengono da tutta la penisola: veneti, spaccapietre di Carrara, scalpellini di Morcone e Pietraroia, braccianti napoletani, minatori di Tufo e Altavilla. Poveri eroi del lavoro dei quali non resta memoria. Vivevano in baracche, mangiavano all’aperto, sotto gli alberi, il cibo cucinato da donne vivandiere. Non mancarono i contrasti, l’arciprete di Fragneto, don Giovanbattista Mastrogiacomo, in un libro parrocchiale, scrive: “Siamo ingombrati da più centinaia di forestieri… scostumati, viziosi. Ogni giorno scandali ed orrori, ferimenti e laidezze. Ci ammorbano di orrende bestemmie ed orrorosi fatti… mangiano carne tutti i giorni, non entrano una volta sola in Chiesa”.

Sarebbe utile una ricerca presso gli archivi comunali dei vari paesi. Il primo treno percorre la linea nel settembre del 1883.

Fu un miracolo, nello stesso periodo una semplice strada, non asfaltata, che doveva penetrare nel Fortore, impiegò dieci anni. Fiaccolate, bande musicali, sventolio di tricolori, banchetti di società operaie, salutarono l’evento. Un raro opuscolo del cavaliere Alfonso Perrella descrive l’entusiasmo della gente. Poi vennero le due guerre mondiali. La linea non fu bombardata dagli alleati o minata dai tedeschi e continuò a funzionare regolarmente. Mio padre, Antonio, nel 1947, prese servizio come capostazione a Pontelandolfo. Non eravamo collegati all’energia elettrica. Ricordo le lanterne e le lampade a petrolio, le stanze illuminate dal fuoco del camino e dai bracieri di rame, le furiose tormente di neve, le locomotive munite di spazzaneve, che venivano a liberarci da una bianca solitudine. Erano tempi di miseria nera, si risparmiava anche sulle scarpe. I pastori si fasciavano i piedi con panni e pelli... Ma era iniziato il lento, inesorabile declino per l’ avvento della motorizzazione di massa e delle nuove strade. Se si esclude la mitica Freccia del Molise non si ebbero collegamenti veloci tra i due mari. Nel 1990 lavori di ammodernamento fecero sperare.

Nel 1996 solo due corse piu’ la Freccia del Molise.

Nel 2003, per una frana a San Giuliano, si chiuse una pagina di storia.

E’ impensabile un recupero da parte delle Ferrovie. Ugualmente la “Provincia” non è in grado di intervenire.

Lo stesso presidente Ricci si lamentò di non avere abbastanza soldi per comprare il sale in caso di nevicate.

Per l’Isernia - Sulmona, che sale a 1400 metri di altezza nel Parco Nazionale di Abruzzo e Molise, sono state effettuati treni turistici ed enogastronomici. Difficile un progetto di recupero per la stretta economica subita dagli enti locali. Resta la malinconia dei binari abbandonati, delle piccole stazioni, testimonianza di archeologia ferroviaria, che cadono in rovina.

Cantava Claudio Villa, negli anni ‘50: “Binario triste e solitario che con l’amore portasti via la giovinezza mia”.

GABRIELE DE LUCA

Altre immagini