Aboliamo le Regioni e teniamoci le Province Società

Sono in molti, anche tra il mondo accademico e rappresentanti delle istituzioni, quelli che in privato non hanno remore a confessare la profonda insoddisfazione per la esperienza delle regioni in Italia. C'è, molto diffusa, una sotterranea intolleranza verso queste escrescenze patologiche di una idea di decentramento che i costituenti posero tra gli elementi costitutivi di un bilanciamento di poteri, pensato unicamente come possibile diga difensiva nei confronti di possibili rigurgiti autoritari.

La nostra costituzione è, necessariamente, figlia del suo tempo. L'archityettura istituzionale di poteri deboli, in cui nessuno può prendere il sopravvento, era la vaccinazione contro una possibile rinascente dittatura. Il decentramento ne era un corollario logico.

La istituzione delle regioni tardò perché fin dal principio anche i favorevoli non avevano idee molto chiare in proposito. I calcoli e i timori elettorali fecero il resto. Si dovette attendere il 1970 per far partire i nuovi organismi.

43 anni di storia regionalistica sono più che sufficienti per dare della esperienza regionale una valutazione. Che è abbondantemente negativa. E che la comunità nazionale non ha più la possibilità di sostenere.

L'infezione definitiva di un organismo già attaccato da virus di vario genere, che ne avevano rigonfiato la fisionomia, è stato il frettoloso rifacimento del titolo V della costituzione. Dal 2001 non s'è più capèito chi tra stato e regione è competente su una infinità si materie. L'invenzione più catastrofica è stata quella della “legislazione concorrente”, secondo la quale tra stato e regione chi arriva prima comanda. Né la corte costituzionale è riuscita a divincolare i rissosi contendenti.

Le regioni sono venute prepotentemente alla ribalta della cronaca nera per la scoperta di allegrezza finanziaria, della sfacciataggine con la quale famelici parvenu dilapidavano soldi pubblici, della spèeriocolatezza con la quale esponenti politici tenevano la regia di nomine e di incarichi profumatamente compensati.
Ma non sono queste (o non solamente queste) le ragioni che ci convincono a lanciare un pubblico appello affinché l'istituto della regione venga cancellato dalla carta costituzionale. Le ragioni fondamentali sono almeno due:

1 - Le regioni hanno tradito la loro ragion d'essere

2 - Le regioni non hanno più una ragion d'essere.

Della prima affermazione non occorre dare soverchie illustrazioni. Se le regioni dovevano avvicinare il cittadino e semplificare lo stato centrale, l'obiettivo non è stato raggiunto e nemmeno sfiorato. Anzi le illusioni positive si sono subito annientate di fronte alla difesa centralistica delle antiche prerogative e alla fantasiosa applicazione in periferia delle competenze regionali, fino ad una duplicazione e ad un accavallarsi di uffici, strutture, privilegi con la sola, inevitabile, conseguenza dell'impossibilità di funzionamento.

Se gli uffici pubblici devono esistere per consentire ai diritti individuali di trovare effettiva e legittima cittadinanza, la drammatica esperienza delle regioni ne è la precisa, inesorabile negazione.

Lascerei ancora da parte tutto la questione della corruzione, provocata dall'insensato incrocio tra interessi di partito (e personali) e funzionamento istituzionale nonché dal non mai celato progetto di sfamare nell'agro della pèolitica i non realizzati nel mondo della competizione intellettuale, imprenditoriale e civile.

Questa è la patologia. Ma è la stessa fisiologia delle regioni che non era immune da malattie degenerative.

L'obiettivo di una così urgente presa di coscienza (che questa nostra iniziativa intende provocare) è, tuttavia, quella del punto 2.

Le regioni avevano un senso allorché erano inserite ion uno stato sovrano a struttura ottocentesca.

Con la partecipazione dell'Italia all'Unione Europea e il trasferimento di competenze “unificanti” in capo agli organismi europei, è all'Italia che si deve guardare come a una “regione” dell'Europa. Non ci può essere un organismo “federale”, ancorché non chiamato stato, e al proprio interno un farraginoso meccanismo che continua a ignorare totalmente le funzioni e gli organismi dell'Unione Europea per conservare migliaia di posti di comando, costose strutture, privilegi: il tutto a scapito del cittadino che deve tenere nel portafoglio più tessere di quanti fossero le figure dei santi all'epoca dei nonni.

Ilò governo Renzi, se riuscirà a partire, potrebbe durare. Lui dice che bisogna guardare al futuro. Una vera riforma della intelaiatura del sistema può partire pure dal presente.

Tolte di mezzo le regioni e tutto quello che hanno generato (tra ambiti territoriali, consorzi, società miste), si potrà procedere ad una “ripulitura” dello stato centrale (a cominciare dalla ridefinizione delle sue strutture periferiche) e alla risistemazione delle autonomie locali. Che sono, storicamente, i comuni e le province.

Aboliamo le regioni. Teniamoci le province.

Ne riparleremo. Intanto chi è d'accordo è pregato di farsi vivo. Il sito di Realtà Sannita è a disposizione.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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