Nebbia in Val Padana Società

C'è un consigliere comunale che si ostina a svolgere il suo ruolo. Anziché andare per bar e postriboli letterari, indice riunioni, convoca assessori e dirigenti perché riferiscano, partecipa ad assemblee di cittadini per sondare se, ad esempio, interessa a qualcheduno l'idea di fare della “zona alta della città” un “centro direzionale”.

L'uomo va avanti imperterrito, anche se alle sue riunioni è difficile contare un uditorio per un tressette a chiamare.

Non è un menagramo, non ha, cioè, fama di iettatore. Non va trovato su questo versante il terrore che incute presso i faccendieri, quelli che si agitano per qualcosa di concreto: un posto, una candidatura, uno strapuntino nelle “partecipate”, una presidenza di una ditta pubblicabollita.

L'unica sua colpa è che è un uomo fuori dal tempo. Meglio: un uomo senza tempo. Qualcuno dice che appartiene al passato. Altri lo collocano nel futuro inattingibile dei sogni.

Il suo nome è Giovanni Zarro. La sua preparazione culturale è a prova di bomba. E questo è sicuramente un elemento a sfavore. La sua esperienza (consigliere comunale, deputato al Parlamento, sottosegretario, dirigente pubblico di lungo corso) non è digeribile dai matteirenzi. Mentre fanno le prime prove di volo cadrebbero storditi a terra, sopraffatte le fragili ali dalla pesantezza delle cose che potrebbero imparare.

Eppure Zarro agita questioni serie, sulle quali un qualunque consigliere comunale (per tacere di vertici di partito) dovrebbe tuffarsi con entusiasmo. Immaginare un futuro (e una immagine) per la città non è la cosa in vista della quale uno si va a prendere i rischi delle sedute consiliari in cui si approvano debiti fuori bilancio, si avallano vendite di beni patrimoniali per mettere una pezza a bilanci pencolanti, si autorizza la ditta degli autobus urbani a togliere il pane (senza peraltro riuscirvi) ai parcheggiatori abusivi?

La sua idea di dare un senso alla cosiddetta zona alta della città merita, comunque, la nostra attenzione. Che, soltanto stando agli interventi su Realtà Sannita, abbiamo manifestato con ripetute riflessioni. Che, quindi, non ripeteremo.

Per “zona alta” io intendo tutto ciò che parte da Porta Somma e si dirama vesto Est-Sud Est. Comprendente, da un lato, anche Capodimonte e Cancelleria e dall'altro anche Pacevecchia e Monte delle Guardie fino ai confini di San Nicola Manfredi e Sant'Angelo a Cupolo. Si farebbe un errore fatale se si limitasse alla osservazione di un “progettista di futuro” qualche spezzone infelice di conurbazione del viale Mellusi e delle sue strette “traverse”.

Non può diventare centro direzionale un fazzoletto di territorio urbano sol perché ci si piazza un ufficio pubblico o un centro commerciale.

L'esperienza insegna che, con simile oggettistica, tutt'al più la città si smembra.

Quindi serve una complessiva idea forte di città, che dal piano regolatore del 1970 e dal piano urbanistico comunale di tempi più recenti, non emerge. Non si ha una idea forte (e chiara) se, ad esempio, si rincorre come risolutiva ogni occasionale “mancia” fatta balenare da chi sa chi (ora la piattaforma logistica, ora il Data Center delle Poste), quasi solo per avere, al loro svanire, legittimazioni per rivendicazioni future.

Si ha una idea forte, invece, se in nome di tale idea, si è in grado di dire no a proposte, pure elettoralmente convenienti, che non siano in linea con le prospettive di sviluppo coerenti con la predetta idea forte.

Se l'Università rappresenta ancora una delle leve primarie del futuro della città, allora non si deve indugiare ancora a chiedere a chi di competenza l'assegnazione alle attività universitarie dell'edificio del Seminario Regionale, ormai dismesso dalla Scuola Allievi Carabinieri. Non basta dire no all'ipotesi di adibire la struttura (progettata dallo stesso architetto che ha sistemato i Musei Vaticani) a ricovero di mille immigrati. Noi vogliamo credere alla smentita. Ma la migliore smentita sarebbe quella di far sparire dal novero delle cose disponibili (per immigrati, cassintegrati, senza-casa, bisognosi sfusi) il Seminario. Occupandolo per funzioni coerenti con l'idea di città che si vuole. E così per tanti altri beni pubblici, che richiedono la massima utilizzazione. Solo dopo aver provato per un certo numero di anni a sfruttare al massimo le potenzialità dei giacimenti culturali esistenti, si può rinunciare all'idea di una città protagonista del mercato turistico.

Noi ci auguriamo che Zarro non getti la spugna. Ma anche altri (in primis , si capisce, chi ritiene di fare politica) devono cimentarsi su una progettazione alta. Nessuna gloria antica ci tiene al riparo dalla perdita di ruolo. Il posto, nella vicenda della modernità, si mantiene (o si conquista) se si hanno idee chiare e se si ha la volontà di rischiare. Altrimenti, come diceva la facile previsione del tempo di una volta, è nebbia in Val Padana.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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