Fa discutere l'editoriale di Mario Pedicini Società

L’editoriale di Mario Pedicini apparso sul numero scorso di Realtà Sannita ha provocato, com’era prevedibile (lo aveva messo nel conto lo stesso Pedicini, quando asseriva di non aderire al “politically correct”) commenti e reazioni.

Pubblichiamo la lettera del sindaco di Pontelandolfo, il dottore Cosimo Testa, e la lettera del signor Giuseppe Pietropaolo di Amorosi.

Caro Mario,

non sono ricorso alla falsificazione dei fatti d’armi, qui accaduti il 14 agosto 1861, per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e, nel contempo, chiedere, se vuoi anche con insistenza, al Presidente della Repubblica, al Presidente del Comitato per le celebrazioni dell’anniversario, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il conferimento dello status di “Città Martire” a Pontelandolfo.

L’enfasi retorica è di esclusiva proprietà di quegli storici prezzolati che da vincitori, in quel tempo osannarono l’Unità d’Italia quale evento straordinario e necessario.

Tieni presente che altri storici, successivamente, esaltarono finanche il Duce per la conquista dell’Impero, privando pacifici popoli della loro libertà ed autodeterminazione!

Da umile e modesto Sindaco di questo straordinario e meraviglioso paese, sebbene originario di Beltiglio di Ceppaloni, sto cercando di rivedere e modificare valutazioni e giudizi storici consolidati sui fatti d’armi qui avvenuti il 14 agosto 1861.

Questo, non per compiacimento personale bensì per ristabilire una verità storica, per troppo tempo negata!

Pontelandolfo era stata condannata, ingiustamente, a portarsi addosso la nomea di: Terra di briganti!

Oggi, con forza ed a giusta ragione, sulla base di documentazione storica incontestabile, chiede che le sia conferito, soprattutto dalle Autorità istituzionali, lo status di: Città Martire.

Tutti gli storici sono concordi nel sostenere che 40 soldati e 4 carabinieri, comandati dal Tenente Bracci, furono massacrati in Largo Spinelle di Casalduni il giorno 11 agosto 1861.

I giorni successivi, 12 e 13 agosto, passano come in un delirio paranoico: stordimento, sgomento, angoscia senza fine. Intanto le scorrerie delle bande mettono a soqquadro l’intera provincia. Ma l’ora della vendetta è imminente. La mattina del 14 agosto, Carlo Melegari si accosta a Casalduni alla testa di 4 colonne di bersaglieri. Destinatario del “desiderio” di Cialdini, che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra sopra pietra, egli, da Napoli a Solopaca, da Solopaca a San Lupo, in un viaggio che gli dà un’idea abbastanza chiara della situazione di odio e di sangue nel Sannio, giunge a Casalduni, col programma preciso di appagare il “desiderio” del comandante generale: freddo. Efficiente, sicuro di sé e della sua causa. Per fortuna, mentre si avvicina a San Lupo, il paese di Casalduni si svuota e piomba in un silenzio di tomba. Gli uomini sono in fuga. Ma le loro case e sostanze sono lì, esposte ai saccheggi e agli incendi. Solo poche persone, tra cui il vecchio e cadente arciprete, finiscono sotto i colpi dei bersaglieri. Compiuta l’impresa il paese resta deserto. Tutto sommato, però, Casalduni non paga in vite umane l’intero prezzo del suo delitto. Lo paga invece Pontelandolfo, dove all’alba dello stesso giorno 14, si presenta, come per mandato di un macellaio, Gaetano Negri (è stato acclarato che si chiamava Pier Eleonoro), ad esigere il conto, sorretto dalla crudeltà del garibaldino Giuseppe De Marco.

Cosimo Giordano, accampato con la banda nei pressi dell’entrata, vista la malaparata, a parte qualche colpo, si disimpegna e provvede a far suonare la ritirata.

Così il paese sorpreso nel sonno, resta irreparabilmente condannato alla carneficina.

Alcuni cadono sotto i colpi dei bersaglieri, altri periscono nelle fiamme, altri finiscono in accidenti vari. Risparmiate soltanto 4 case liberali. L’ordine di Cialdini per Negri non spiega la ferocia dell’esecuzione, a parte il fatto che c’è da dubitare di questo ordine. Il telegramma era giunto al Governatore il 10 agosto, ore 11,00, un giorno prima della strage del reparto di Bracci, essendo Negri già in viaggio per Pesco. L’11 era passato nelle mani del giudice supplente di Paduli, perché lo consegnasse al destinatario, fallito il tentativo di un pauroso corriere; solo a macello compiuto era finito nelle mani di Negri. Non la ferocia di Cialdini è qui in gioco, ma la spietatezza di Negri, che a mente fredda giudica la sua impresa non meno barbara della mostruosa barbarie dei reazionari puniti”. (Pontelandolfo e Casalduni di Gianni Vergineo. Da “Il Sannio Brigante” Ricolo Editore, Benevento, 1991).

Quanto sarebbe stato bello se tu, che pure hai citato e letto quanto scrive il Prof. Gianni Vergineo, al termine della lettura, avessi dichiarato: Anch’io mi sento cittadino di Pontelandolfo!

Caro Mario, concordo con te: “la storia è storia”. Si ha solo il dovere di conoscerla, di continuare a studiarla”.

E però, ci vuole anche l’onestà intellettuale di riconoscere l’innocenza di un popolo quando è vittima di un eccidio inenarrabile.

E’ mio intendimento, non velleitario né mistificatorio, ristabilire la verità storica sui fatti avvenuti in Pontelandolfo nel mese di agosto del 1861.

Per poter celebrare solennemente, da orgoglioso cittadino italiano, con tutta la comunità pontelandolfese, il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.

In allegato alla presente ti trasmetto copia dell’intervento tenuto dall’on.le Giuseppe Ferrari nella seduta parlamentare del 2 dicembre 1861, dopo la sua visita a Pontelandolfo, a distanza di pochi mesi dall’eccidio.

Non sono un incendiario, per cultura, per formazione professionale e politica.

Né puoi pretendere, però, che il Sindaco di Pontelandolfo non raccolga il grido di dolore di centinaia di morti, tra i quali neonati, fanciulli, vecchi, donne e giovanette dapprima stuprate, che innocentemente persero la vita a causa di quel disumano eccidio e che esse non siano onorate e commemorate nella qualità di vittime civili della dolorosa e sofferta Unità d’Italia.

Allora, soltanto allora, si potrà gridare: GIUSTIZIA E’ RESA A PONTELANDOLFO!

Inorridisco, infine, e per questo avrei desiderato che tu non lo scrivessi, non offrendomi così l’occasione per leggerti, quando giustifichi la rappresaglia dei bersaglieri del Regio esercito italiano contro i cittadini italiani, inermi ed innocenti, di Pontelandolfo, equiparandola a quella delle Fosse Ardeatine.

E, forse per te, anche a quelle di Marzabotto e delle Foibe?

Fatte salve le dovute eccezioni, è proprio vero: Senectus ipse morbus!

Dalla Casa Municipale 26 gennaio 2011

IL SINDACO

Dott. Cosimo Testa


Caro Sindaco, guarda che posso tranquillamente respingere al mittente la citazione latina. Tu sei, di poco, più vecchio di me.

Eppure gli anni non hanno ammorbidito quel tuo bel carattere generoso, impulsivo e, direi, “focoso”. Tanto che mi sobilla l’idea che se tu fossi stato giovane 150 anni fa saresti stato un brigante o un volontario garibaldino. Mai calmo, mai pecora, mai nell’ombra.

Però, scusami, stavolta hai preso un abbaglio.

Non ho inserito la tua iniziativa tra le cose del ciarpame retorico che ho denunziato nel mio pezzo. Anzi ho voluto mettere in evidenza che tu, come sindaco di Pontelandolfo, hai chiesto solo che fosse riconosciuto il prezzo pagato dalla popolazione innocente ed inerme. Mi accorgo che avrei dovuto essere più esplicito. Ma non ti ho mai accomunato agli storici, ai cronisti e ai politici che intendono approfittare per rivendicazioni velleitarie. Ho scritto che tu hai preso “la palla al balzo dei 150 anni dell’unità per reclamare non più che una attenzione”. In maniera pudica, ho inteso elogiarti.

Leggendo i giornali, ho capito che tu vuoi per Pontelandolfo il riconoscimento di un sacrificio. Vuoi che si sappia che l’unità d’Italia si è fatta anche con il sangue di alcune centinaia di pontelandolfesi. Mi pareva di aver capito che tu non chiedi vendette, non chiedi risarcimenti, non chiedi riabilitazioni.

Pontelandolfo città martire”, o qualcosa di simile, non comprende necessariamente la pubblicazione della lista dei massacratori. L’accostamento che ho fatto tra Pontelandolfo e Francavilla va proprio nella direzione di una pacificazione che, a 150 anni di distanza, è al fondo delle celebrazioni che la Repubblica organizza dandone merito alla Monarchia Sabauda. L’unità della quale noi oggi crediamo giustamente di poter godere si è fatta anche col sangue delle vittime civili pontelandolfesi e con il sangue dei soldati del Regno d’Italia caduti a Francavilla. In entrambe le circostanze c’è un protagonismo “fomentatore” di quel fenomeno complesso che è stato chiamato brigantaggio. Che non cade dal cielo , ma è tutto impastato di uomini e donne delle nostre terre, gente che porta i nostri cognomi, difficilmente catalogabili nelle categorie dei “nemici” o degli “amici”.

Lasciamo agli storici, se ne hanno voglia, di approfondire i torti e le ragioni. Dopo 150 anni possono incontrarsi i pronipoti e pregare insieme per i morti dei pontelandolfesi e per i morti dell’Esercito Regio caduti a Francavilla? Al di là delle loro personali convinzioni, sono morti perché si compisse il destino dell’Italia unita?

Lasciamo pure all’arte (cito, non a caso, il film “Noi credevamo”) la libertà di provocare emozioni. Il 27 gennaio di quest’anno, chiamato a tenere la relazione della Giornata della Memoria in Prefettura, ho detto: “Non si può fare memoria, continuando a rinfacciarsi i torti. Fare memoria significa farsi carico, accollarsi il peso delle responsabilità della storia. Di tutta la storia, soprattutto di quella parte di essa che non ci piacerebbe; verso la quale saremmo tentati di girare la testa dall’altra parte.

La memoria non è, pertanto, contemplazione del passato. E’ molla potente per il disegno del futuro. E’ essa stessa futuro, come il lievito che con la sua acidità è essenziale al miracolo del pane.

Getta dietro di te il tuo dolore e sarai libero”: questa citazione di Ibsen ci aiuta a capire. Ha scritto Claudio Magris: “La memoria guarda avanti; si porta con sé il passato, ma per salvarlo, come si raccolgono i feriti e i caduti rimasti indietro, per portarlo in quella patria, in quella casa natale che ognuno crede, nella sua nostalgia, di vedere nell’infanzia e che si trova invece, nel futuro alla fine del viaggio”.

I “feriti e i caduti rimasti indietro” di Claudio Magris, per Pontelandolfo, sono insieme le vittime dell’attentato e le vittime della rappresaglia. Il “prodotto” della storia, che non rientra tra le incombenze di giudici e procuratori, siamo noi. Tu ed io, Pontelandolfo e il mondo in cui viviamo. Dal quale non abbiamo titoli per dimetterci.

Cura ut valeas.

M. P.

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Ed ecco la lettera, inviataci da Giuseppe Pietropaolo, presumibilmente un giovane, impegnato nella biblioteca comunale di Amorosi.

Gentile dott. Pedicini,
mi chiamo Giuseppe Pietropaolo, abito in Amorosi, grazie al comune amico Prof. Vittorio Barbieri ho avuto modo di leggere il Suo articolo Pontelandolfo e Francavilla pubblicato su Realtà Sannita attualmente in distribuzione.
Mi permetta di esternarLe tutto il mio apprezzamento per una analisi che è stata lucida, precisa, obiettiva.
Vede, in mezzo a questo fiorire di movimenti neoborbonici e rivendicazioni meridionaliste, non mi ci raccapezzo: assisto ad esternazioni e convegni che hanno come estrema sintesi il ...i Savoia hanno rovinato tutto, se fossimo rimasti con i Borbone adesso eravamo la più grande potenza italiana, mannò europea, ma non basta ancora, mondiale.
Dott. Pedicini, i presunti primati della dinastia Borbone si dimentica che erano appannaggio di pochi, si dimentica - colpevolmente o scientemente - lo stato di disagio in cui versavano le popolazioni meridionali e potrei continuare con altri ed altri esempi.
Ed in questo momento, sia a titolo privato, sia ad un livello più alto (faccio parte del consiglio di biblioteca del comune di Amorosi ma quando ho tentato di proporre una chiave di lettura più obiettiva del brigantaggio son stato quasi linciato verbalmente....) guai a voler mettere in dubbio che i briganti eran partigiani, che i Borbone erano la massima espressione di benessere presente tra le dinastie europee.
Mi permetta quindi di ringraziarLa per la Sua chiave di lettura più equilibrata e che mi fornisce nuovi argomenti di discussione e dibattito.
Voglia gradire distinti saluti

Giuseppe Pietropaolo