Scomporre e ricomporre l'Italia Società

Quando avra' finito di leggere gli entusiastici messaggi di bentornata, anche Nunzia De Girolamo dovra' pensare alle elezioni comunali del 2016.

Ma, trattandosi di un personaggio che non si trova particolarmente a suo agio nel piccolo cabotaggio (ne sa qualcosa Raffaele Tibaldi, candidato sindaco con il Popolo delle Libertà nel 2011), siamo certi che si metterà a studiare come scomporre e ricomporre l'Italia.

Il Parlamento di questo, infatti, sta discutendo. Non pochi costituzionalisti storcono il naso di fronte alla “grande riforma” in discussione al Senato. Troppa carne a cuocere, contraddizioni e dimenticanze.

Bene. Noi vogliamo credere che, prima o poi, qualcuno avrà il coraggio di buttare tutto all'aria e di ricominciare da capo, avendo ben chiaro l'obiettivo da raggiungere e avendo altrettanto limpido il quadro di partenza.

Una delle questioni ineludibili è il disegno della forma di stato, che la Repubblica deve darsi. In termini più crudi la Costituzione deve ridisegnare se stessa, rimettendo a posto lo Stato (divenuto, con la riforma del 2001, l'ultima ruota del carro dopo “comuni, province, città metropolitane...”).

La rete dello stato unitario era costituito dalle Prefetture, funzionanti in ogni provincia. Il governo Monti abolì le province, ma ci si accorse che non lo poteva fare. Una volta elencate nell'art.14 della Costituzione riformata, per cancellarle ci vuole una legge costituzionale. E' quello che si sta facendo. Ma si sta facendo anche un pastrocchio. Una cosa è abolire gli organi elettivi di un organismo chiamato provincia (questo poteva sembrare, dal momento che il provvedimento fu preso per operare un taglio di spesa - la cosiddetta spending review), altra cosa è tagliare un arto senza pensare a ricucire vasi sanguigni, tendini e muscoli.

Senza definire a chi passano le incombenze alle quali provvedevano le province, si sta delineando un classico pasticcio all'italiana. Più che sopprimere le province (già alla Rocca dei Rettori non c'è nessun signore eletto dal popolo: il presidente è legittimato dal fatto di essere sindaco di un comune della provincia), le si stanno riducendo di numero. Non è una novità. La prima bozza della sforbiciata metteva insieme le due ex province di Benevento e Avellino, stabilendo che capoluogo dovesse risultare quello col maggior numero di abitanti all'ultimo censimento. Adesso, in una bozza di decreto delegato passata ai sindacati, il capoluogo diventa, senza indicazione di criteri, Avellino. De Girolamo era in attesa di essere ricevuta ad Arcore, il neo consigliere regionale Mortaruolo sta studiando l'apparecchio nel quale si trova, Umberto Del Basso De Caro ha imbracciato la manichetta del pompiere.

Buon segno, se c'è la volontà di capirci qualcosa e fare in modo che lo stato, già fatto quasi a pezzi, possa ricomporsi.

I miei pochi lettori sanno che un pensiero (oh Dio, la parola è grossa, lo so) ce l'avrei. Ed è quella di abolire le regioni e tenerci le province. Non mi ripeto.

Ma anche sulle province ci sarebbe da lavorare, senza derubare i vicini di casa e senza far ricorso alla storia e alle glorie del passato. Semplicemente adottando un criterio di logica elementare, basato sui numeri.

Anche questa idea l'ho già raccontata. Tenterò di spiegarla con una dimostrazione delle conseguenze.

Dobbiamo abolire le province, ma dobbiamo mantenere in piedi delle “circoscrizioni territoriali” nelle quali far lavorare i rappresentati dello Stato? Quante Circoscrizioni siffatte servono a governare un paese di 60 milioni di abitanti?

Dividiamo 60 milioni per il numero di “circoscrizioni territoriali” ipotizzate e avremo un “quoziente”, il quale - proprio come il quoziente del sistema elettorale proporzionale - “assegna” il numero di “circoscrizioni” ad ogni territorio.

E quale può essere il “territorio” da prendere come un ipotetico “collegio elettorale”? Signori miei - direbbe il giovanotto che ci governa -, è la regione.

Se vogliamo conservare 50 “circoscrizioni” territoriali, si fa così. 60 milioni diviso 50 fa un milione e 200mila. Si prende il numero di residenti in ogni regione (censimento del 2011) e si vede “quante volte” ci entra 1milione e 200 mila. Il risultato è, per ogni regione, il numero delle “circoscrizioni territoriali” attivabili.

Il quadro generale, con tabelle e numeri, Realtà Sannita lo mette a disposizione di chiunque voglia ragionarci su. Vi dico subito che la Regione Campania avrebbe quattro quozienti pieni e il resto più grande d'Italia. Cioè la Regione Campania potrebbe conservare tutte e cinque le vecchie province.

Che ne dice il presidente De Luca? Non è una buona battaglia?

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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