Uomini e fiumi Società

Benevento e' citta' di fiumi. Non solo il Calore e il Sabato, ma anche il Tammaro che sfocia nel Calore a Ponte Valentino, o Serretelle (detto anche Corvo), o i torrenti San Nicola e Malecagna quando s'ingrossano sono peggio dei fiumi. E non da oggi. Non a caso Benevento ha sei ponti di epoca romana: ponte Leproso, ponte Corvo e (più a valle sullo stesso corso d'acqua) il ponte Serretelle (scoperto dalla Città Spettacolo di Ugo Gregoretti), il ponte Rutto sul tracciato della via Latina (proprio nei pressi di Cellarulo), il piccolo ponte sul San Nicola (da cui prende nome la località Ponticelli), ponte Valentino sull'Appia Traianea.

Non è che in tutte le scuole si insegni a contare i ponti romani, ma ci si può porre la domanda: perché tanti ponti? Ma perché evidentemente per giungere a Benevento (o fuggire da) si devono attraversare corsi d'acqua. L'acqua è una essenziale risorsa per gli insediamenti umani nella storia, ma è anche un problema da affrontare. I romani costruivano i ponti. Noi che cosa abbiamo fatto?

A questa domanda bisogna rispondere per discutere dell'alluvione del 15 ottobre 2015. E' pretestuoso arzigogolare sul colore dell'allarme (arancione, giallognolo o rosso) lanciato dalla Protezione Civile. E ha ragione il sindaco Fausto Pepe quando dice che a seguire gli “avvisi” della Protezione Civile starebbero sempre chiusi uffici, scuole e commercianti. A patto, però, che il Comune abbia un “piano di protezione civile” (disponibile presso tutte le famiglie) dove sia previsto che cosa debba fare ogni soggetto (in ragione della propria responsabilità) allorché sente dalla tv o dalla radio che c'è un allarme.

Non è che un sindaco (anche il più funambolico: prendiamo Marino) possa ogni volta stabilire il da farsi. E per chiudere sullo specifico, il giorno 15 ottobre abbiamo visto all'opera con risultati positivi tutti gli “operatori pubblici”.

Certe volte sembra di capire che qualcuno vorrebbe che si “si risolvesse il problema” della pioggia (come quello del terremoto). Purtroppo per gli ingenui del buonismo ad ogni costo c'è da ribadire che la terra tremerà ancora e i fiumi porteranno acqua a seconda di come piova.

Non bisogna raddrizzare i fiumi, dunque, ma rispettare le loro esigenze. Allorché si è fatto ricorso ai muraglioni non si è risolto nessun problema. Basta osservare com'è oggi l'alveo del Calore dopo il ponte cittadino. L'acqua “costretta” dagli argini di cemento ha preso velocità e ha “scavato” il letto.

I danni a uomini e cose non li hanno prodotti la pioggia e i fiumi. Responsabile di tutto è l'uomo, ricopra o non una carica pubblica.

Le portate storiche dei fiumi sono note. Non so se c'è una specie di Genio Civile dove nelle stanze siano attaccate le tabelle statistiche. Ma non sarebbe male (così come non sarebbe male attaccare ai muri delle aule scolastiche le carte geografiche). Si sa (si deve sapere) che ad ogni pioggia violenta e/o continuativa fanno seguito piene nei fiumi. Quando l'uomo si faceva i fatti suoi il fiume ingrossato si “allargava” nei terreni circostanti. Perciò si chiamano alluvionali, perché si sono allagati nel passato e si possono allagare anche in futuro.

E' l'uomo che si è andato a mettere in aree alluvionali. Restando a casa nostra, ve ne cito solo quattro.

Pantano. Il toponimo non ha bisogno di spiegazioni. Alla confluenza del Sabato e del Serretelle nel Calore la vasta piana si chiama così perché lì l'acqua si “appantana”. Anche piene di modesta portata lì frenano la corsa perché hanno la possibilità di distendere le masse d'acqua, che rallentano e riducono la pericolosità della corrente, fin quasi a formare un lago. E' così da sempre. Non lo sapevano quelli che hanno costruito e quelli che hanno autorizzato le costruzioni?

Pantano è la superficie naturale di raccolta delle acque della conca del Sabato e della valle del Calore. Quand'ero ragazzo mi pareva una impresa non costosa alzare una diga dove la valle si stringe (e quasi si chiude) poco prima di Castelpoto e realizzare il “lago di Benevento”. Senza la diga, la natura ogni tanto forma il lago di Pantano.

Fossi. Perché si chiamava così (i fuoss') quello sbocco del durrupone” dove si passava per andare al Cimitero? E perché lì c'erano solo orti? Per la semplice ragione che nella curva del Calore si immette il San Nicola e insieme si allacciano in un ballo lento. E' la zona di Ponticelli, per chi non l'avesse ancora capito. In quali anni sono stati costruiti tutti quei palazzi con immancabile scantinato? Ne è responsabile il fiume?

Ponte Valentino. Chi ha deciso di mettere lì il Nucleo Industriale sapeva che è un'altra, naturale, area alluvionale. Confluisce lì nel Calore il Tammaro, fiume per nulla docile. Nel 1968 l'Ordine degli Ingegneri di Benevento tenne, nella sua sede di palazzo Collenea, vari incontri per illustrare la insensatezza (e la pericolosità) di quella scelta. Il presidente Arturo Sarracino, con valenti colleghi quali Antonio Nardone, Geppino e Giulio Cesare Pedicini, Landi, Glielmo, Raffio (con il sostegno del geologo Michele Benvenuto) sostenevano che l'area di Ponte Valentino è una classica “vasca di tenuta” delle piene dove il fiume provvede “regolarmente” ad allargarsi. Raccontavo su Messaggio d'Oggi queste cose e il direttore (preside Giuseppe De Lucia) dovette sorbirsi una lamentela del presidente del Nucleo di Industrializzazione, Antonio Abete. De Lucia, d'intesa con il presidente dell'Assostampa Edgardo De Rimini, chiuse l'incidente allestendo una conferenza stampa. I giovani ingegneri sostenevano la tesi che l'area più adatta per le industrie poteva essere quella di San Vitale-Olivola. Negli anni '80 fu scelta per un altro strumento (chiamato PIP) di insediamenti produttivi.

Piana di Ponte-San Lorento Maggiore. Guardando dal treno, quando si andava a Roma, sembrava scontato che quello slargo servisse al fiume Calore per alleggerire le sue esuberanze, una volta passata la gola sotto Castelpoto. Presi dal furore enologico (vera e propria ubriachezza) in quella piana sono stati piantati a migliaia filari di viti. E' colpa dell'aglianico se è andato tutto distrutto e se i capannoni della Piana (ripeto: Piana) si sono riempiti di acqua e fango?

Non sarà domani, potranno passare altri decenni, ma Pantano, Ponticelli, Ponte Valentino e la Piana di San Lorenzo si allagheranno di nuovo. Si allagheranno sempre. L'unico modo per non ricontare i danni è proprio quello di non fare danni. Cioè rispettare la natura e lasciarla in pace. Ché solo così essa lascerà in pace gli uomini.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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