Questioni di decenza Società

Del Basso De Caro ha sempre 'avuto a cuore' la sanità sannita, soprattutto l'azienda Ospedaliera, il vecchio e glorioso 'Rummo' governato per decenni da pretoriani dc (Tommasino Lombardi, Mimì Grasso, Giovanni Fiscarelli, Mario Scarinzi). Non è andato d'accordo con Loretta Mussi, espressione del governo Regionale Bassolino, soprattutto quando questa aveva difficoltoso feeling con Alessandrina Lonardo in Mastella. Accerchiata dal duo Mastella-Del Basso De Caro la manager dovette sloggiare. E fu la volta degli 'amici' di Clemente o di Ciriaco, costretti a mutazioni camaleontiche per capire la direzione dei venti. Di qui le comiche estreme di quello che andava a prendere 'consigli' ma optava per le registrazioni, ottime per accreditare doti di indipendenza messe a dura prova dalle 'prepotenze' giovanili di donna Nunzia.

Se la giudicessa estensore della sentenza favorevole a De Luca ha detto che non l'ha fatto per fare un favore al marito, perché non lo ama più (e potrebbe godere anche del nuovo diritto canonico riformato da papa Francesco), altri può a ben ragione sostenere che assecondare le ambizioni della propria amica è perfettamente legittimo proprio perché il suo rapporto persiste sia pure per le ragioni opposte a quelle della giudicessa. Lui la sua amica l'ama.

Ma che razza di argomenti son questi per parlare di giustizia?

E' che la giustizia in Italia si interessa di queste cose, che vanno a finire sui giornali perché diventano 'pubbliche' anche se non servono ai processi che faticosamente i pm riescono ad istruire. Dopo anni dalle prime fughe di notizie ora si hanno frammenti sfiziosi resi ufficiali dalle stesse parti in causa. Che, giustamente, annotano e puntualizzano.

Proprio per fare in modo che queste notizie restino inoffensive e sostanzialmente prive di interesse, ci pensano gli amici deputati di De Girolamo ad esprimerle solidarietà per essere, lei, andata a finire sui giornali per il fatto che un dirigente ASL (sempre la sanità!) quando andava a casa del padre di lei (ma, attenzione, non erano fidanzati) teneva acceso un marchingegno per registrare le chiacchierate.

Insomma tutti solennemente affermano che certe intercettazioni, quando non sono indispensabili per le indagini (cioè per provare reati, non per curiosità da vicinato di allegre comari), non andrebbero fatte circolare. E, di conseguenza, anche se girano non dovrebbero avere 'conseguenze'. Una volta si declamava pure: fino a sentenza passata in giudicato. Ma, come ben sanno tutti gli abitanti della Campania infelix, basta una sentenza di primo grado per far scattare la tagliola della Severino, che non augurerei al mio peggior nemico.

Se aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso, come si usa dire (aggiungendo una non richiesta, ma sempre prosternata, 'fiducia nella magistratura'), per vedere la fine bisognerebbe credere nella immortalità. Che non è propriamente un concetto laico.

Noi che veramente crediamo alla laicità (delle leggi, delle istituzioni, e quindi anche dei processi penali) osiamo spostare il discorso su un altro piano. Per farlo ricorriamo a quel po' di latino studiato al Liceo.

In latino, che è lingua infallibile (non come l'italiano, che consente qualsiasi ambiguità) ci sono due strani verbi che esistono, praticamente, solo alla terza persona singolare del modo indicativo. Non c'è futuro, non c'è condizionale, non c'è congiuntivo, c'è qualche scappatella nel passato: sono licet e decet.

Licet si traduce in: è lecito, è consentito, è permesso. Decet si traduce in: è decente, è decoroso, si addice, è conveniente.

Certamente licet (diciamo: è consentito) che un amministratore che sia incappato nelle maglie della legge si affidi alla inappellabile sentenza della Cassazione. Se assolto, potrà tranquillamente (per modo di dire, certo) sbandierare la propria innocenza.

Non decet, però, che un amministratore incappato in qualche disavventura (ancorché non del tutto vagliata), smetta di fare il lavoro che gli è costato la disavventura giudiziaria e pretenda di potersi candidare per coprire altre cariche.

Così come non decet che un sindaco che abbia fatto i due mandati pieni (dieci anni, la metà di quelli del Duce) pretenda di candidarsi, nello stesso comune dove ha comandato da sindaco, per fare il consigliere comunale 'semplice'. Magari per ripresentarsi a sindaco tra cinque anni.

Se una legge ha fissato il principio che un sindaco può restare in carica non più di dieci anni avrà voluto stabilire che le cariche pubbliche democratiche (cioè elettive) si dovrebbero offrire al maggior numero possibile di aspiranti. Non decet, insomma, immaginare che, dopo aver fatti i dieci anni, scelga un mio fedele dipendente, affinché mi tenga caldo il posto, che riacchiapperò tra cinque anni.

Voi dite che molti lo fanno. Appunto: licet, ma non decet. E credo che il sistema democratico, e l'arma del voto, debba badare più al decet che al licet. Anche se è lecito non è decoroso, è questo il latino del titolo.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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