Crisi della città al capezzale del malato In primo piano

- …una delle cause fondamentali di questa crisi - una crisi che tocca le concezioni basilari della persona umana, della società umana, della storia umana - non sta forse nella crisi della città? Crisi di sradicamento … sradicamento della persona dalla città, da cui la persona trae perfezione e misura! Perché la persona umana è in qualche modo definita dalla città in cui si radica: come la pianta dal suo campo. La città con le sue misure, il suo tempio, le sue case, le sue strade, le sue piazze, le sue officine, le sue scuole, rientra in qualche modo nella definizione dell'uomo!...- Venezia, 20 ottobre 1954. Giorgio La Pira pronuncia un discorso all'assemblea dei comuni di Europa. Certo il contesto era diverso, si era in piena ricostruzione post guerra, il Piano Marshall lasciava già intravvedere, fattivamente, i segni della ripresa, fisica e morale. Ma a distanza di tanti anni pare che la città continui a manifestare sintomi di malattia.

Soldi se ne continuano a spendere, eccome. Il discorso, dunque, non è economico. Ogni amministrazione comunale, che rinnova il contesto politico, pare che abbia come traguardo supremo di riprogrammare la crescita; ma alla fine ci si accorge che lo sviluppo montato, alla meglio, è solo una cieca progressione economica. L’economia politica ha lasciato il posto alle leggi dell’economia mercantile. La città e i cittadini hanno, però, ben altre attese, e non sono solo quelle di stringere o allargare, ma di riempire di significati e di contenuti la loro energia latente.

Una sana economia politica dovrebbe spingere l’amministratore di turno a considerare che sono solo tre i suoi fondamenti, la produzione, la conservazione e la distribuzione, nei tempi e negli spazi più idonei, nel senso di realizzare cose utili o gradevoli al fabbisogno individuale e collettivo.

A Benevento quest’anno si rinnova il consiglio comunale. Già sfarfallano, e da parecchio, nomi, partiti di appartenenza e propositi vaghi di governo della città. Certo sarebbe più opportuno, a pochi mesi dalla tornata elettorale, di tirare le somme, con la massima onestà, su ciò che è stato fatto o non fatto rispetto al precedente programma. Ma al di là delle scelte concretizzate o non, e dei guasti che queste hanno generato sul territorio, che pur necessitano di analisi approfondite, in questo momento interessa soffermarsi su quelle che i cittadini vorrebbero che fossero le priorità da considerare. Dunque agire e non competere. Sarebbe come ascoltare un malato, magari non proprio in punto di morte, che invece di raccontare le vicende della sua vita, rivela, con un pizzico di tristezza, quali e quante avrebbero dovuto essere le sue responsabilità, quasi sempre disertate, e gli uffici a cui avrebbe dovuto dare importanza ed urgenza.

In primis gioverebbe ricordare che la città è dei cittadini, una casa comune dove sono vitali le relazioni tra gli esseri umani e dove, tra questi e il tessuto urbano, il tempo genera e costruisce un valore da preservare e lasciare in eredità. Un humus fecondo che i governi locali dovrebbero comprendere con discrezione e rispetto, magari arricchendo, con la consapevolezza e la competenza, anche il senso civico degli abitanti, che non può avere soste né rimandi. Quindi usare con moderazione, migliorare con oculatezza e ritrasmettere.

Ci sono poi quelli che i tecnici della politica chiamano imprevisti. Uno di questi, di recente incontro, è la paura. Apprensione per il terrorismo, preoccupazione destata dal flusso continuo degli immigrati, la povertà alle porte, ed è difficile da comprendere se sia quella al di là, che ancora vediamo nelle strade, o quella che viviamo in casa; e anche angoscia per una qualità della vita difficile da decifrare, perché il progresso pubblicizzato non si raccorda con un malessere sfuggente.

E se vogliamo, anche la questione ambientale (perché l’ambiente è un profondo legame tra città e territorio) costituisce un’altra paura: perché la bellezza della città, gli edifici, le sue strade e le piazze, i fiumi che l’attraversano, e i giardini e le ville, sono patrimonio collettivo, e la pulizia e la tenuta sono impegno civico e sociale per chi si accinge a governarla; e poi l’aria, e quindi l’inquinamento e quindi l’efficienza dei trasporti pubblici…

Vorremmo che la politica del governo locale parlasse un altro linguaggio, di sicuro non quello dei mercanti, fatto solo di sterili e ingenue promesse, ma partendo dall’assunto che le generazioni che vivono e decidono le sorti di una città, in un preciso momento della storia, non hanno alcun diritto di dissipare e di distruggere, e soprattutto di annullare l’identità dei luoghi.

UBALDO ARGENIO

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