50 anni fa moriva Enrico Rossi Società

Ricorre in questi giorni il 50° anniversario della morte di Enrico Rossi, il fondatore e primo presidente dell'Associazione della Stampa sannita. L'impresa fu il coraggioso risultato di un impegno civile: quello di dare attuazione alla Costituzione repubblicana entrata in vigore il 1° gennaio 1948, che sanciva la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà della stampa.

L'Italia era impegnata nella ricostruzione morale e materiale del paese, gravemente provato dalle ferite della guerra e dalle conseguenze della sconfitta militare. Le leggi rimaste in vigore venivano faticosamente adattate ai nuovi principi costituzionali. Il clima politico in effervescenza soffriva per la lentezza con la quale il Parlamento adeguava la legislazione ordinaria ai nuovi valori della Costituzione. Non sarà un caso che la legge istitutiva dell'Ordine dei Giornalisti arriverà nel 1963 (e c'è chi la ritiene una erede fin troppo stretta di una idea “centralista”).

A Benevento soprattutto la stampa locale rivendicava gli spazi di una libera discussione. Fior di professionisti erano impegnati nella discussione sulle cose da fare per la costituzione degli organismi vitali per una democrazia (i partiti, i sindacati, l'associazionismo) e per raccontare la difficile condizione di larga parte della società. Il Mattino, rinato sulle ceneri de Il Risorgimento, viveva con la verve e l'intelligenza di giovani come Michele Portoghese, Donato Spina, Luigi Vessichelli. I corrispondenti dei giornali napoletani e romani e gli animatori delle testate locali (nella difficoltosa periodicità di tanti, si faceva notare Il Secolo Nuovo di Francesco Romano) ospitavano di buon grado gli scritti di avvocati, medici, pubblici funzionari, uomini di scuola. Basti citarne alcuni per avere una idea della vivacità del momento e della pluralità delle posizioni politiche: Gennaro Meomartini, Vincenzo Cardone, Pasquale Centore, Luigi Cifaldi, Andrea Ferrannini, Michele Marotti, Salvatore Moffa, Santo Nunziato, Francesco Romano, Livio Rotili, Antonio Tibaldi, Giuseppe Arzillo, Antonio Aulita, Francesco De Rienzo, Edgardo De Rimini, Lucio Facchiano, Crispino Lepore, Arnaldo Tretola, Gennaro Pescitelli, Dante Ruscello, Alberto Silvestri, Ettore Lonardo, Guerino Pietraroia...

Enrico Rossi era nato il 18 settembre 1900, figlio di un avvocato che era stato vice sindaco e assessore del Comune di Benevento. Durante gli anni della Grande Guerra frequentò la Scuola Militare della Nunziatella. Laureato in legge all'Università di Napoli, aveva seguito le orme paterne dedicandosi all'avvocatura.

A 50 anni, per le caratteristiche somatiche e i modi di un distinto borghese, poteva apparire come un pacifico conservatore. Era, invece, un convintissimo socialista, intransigente più dei comunisti che invece usavano termini altisonanti di scuola ma saggiavano anche le tattiche per la scalata del potere. La valvola di sfogo era il giornalismo nel quale si era cimentato fin da giovane. Aveva trovato spazio, tra l'altro, nelle imprese editoriali del focoso avvocato Francesco Romano.

Uomo colto, non esibiva le insegne populiste di certi compagni di viaggio e, pure, era inflessibile nella idiosincrasia verso gli ambienti democristiani o, comunque, clericali. La lontana (e profonda) origine di tale inimicizia va ricercata in un episodio traumatico che, in età giovanile, contribuì a cambiargli la vita.

A cambiargliela forse in meglio, ma che comunque va raccontato.

L'unica figlia vivente Maria Teresa (essendo morti in età ancor giovane i maschi Maurizio, magistrato, e Wladimiro, avvocato) sostiene che Enrico Rossi “fu concepito per essere sacerdote”.

In famiglia c'era uno zio, Raffaele, che era un sacerdote molto stimato, al punto che divenne arcivescovo di Matera in giovanissima età. Segnalato per le sue qualità, il Papa volle conoscerlo. Si diceva, insomma, che per monsignor Raffaele Rossi fosse pronto un incarico di prestigio presso la Santa Sede. Durante il viaggio da Roma a Matera, di ritorno appunto da quella visita al soglio di Pietro, il presule si fermò a Pontecorvo nel collegio dei Gesuiti per passare la notte.

La mattina non ci fu risveglio. Lo zio Arcivescovo era morto.

Enrico non ne volle più sapere di farsi prete, indotto anche da alcune dicerie che ipotizzavano una morte non proprio spontanea per il diletto zio.

Concepito per essere sacerdote, Enrico Rossi fu per tutta la vita perentorio osservatore e fustigatore di tutte le manovre del clericalismo di potere. La sua arma più efficace fu la penna. In mezzo ad Alberto Silvestri, Oscar Rampone, Salvatore Gramignazzi Serrone, Tonino Maffei, Michele Portoghese, Edgardo De Rimini, Aldo Gambatesa, Antonio Aulita, Luigi Vessichelli, Gennaro Pescitelli, Francesco Romano, Luigi Galasso, Guerino Pietraroia, Rossi era una sorta di battitore libero. Ma da tutti stimato e benvoluto.

Proprio per le sue caratteristiche di uomo libero e coerente fu eletto all'unanimità da ventinove colleghi primo presidente della Associazione della Stampa Sannita, la sera dell'11 novembre 1950. La squadra di comando dei giornalisti liberi era completata da Alberto Silvestri Vice Presidente, Michele Portoghese consigliere, Edgardo De Rimini Segretario e Dante Ruscello tesoriere.

Enrico Rossi si trovò subito tra le mani la difesa di Enzo Rotondi, vicecorrispondente de “Il Mattino”, oggetto di una “ammonizione” ad opera del Questore in virtù del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza del 1938. Non fu compito agevole far capire a un Questore che la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato. E se c'è scritta la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di stampare e diffondere giornali, il questore commetteva un abuso tentando di reprimere un diritto costituzionale. Rossi non ebbe tentennamenti. Diede una lezione al ligio funzionario.

Anche il sottoscritto si trovò Enrico Rossi al fianco quando la sua prosa di sbarbatello non piacque alla dirigenza della squadra di pallone (e a qualche giocatore divinizzato dalla tifoseria).

In attesa di trattative per assicurarsi una sede degna (possibilmente a titolo non oneroso) Enrico Rossi per la neonata Associazione della Stampa (poi accorciata in Assostampa) mise a disposizione il suo studio privato, che si affacciava sopra la libreria-edicola di Podio (e l'altrettanto famoso Bar Fucci, che faceva il miglior gelato della città).

Era il palazzo acquistato nel 1910 dall'ingegnere Enrico Franchini del quale Enrico Rossi aveva sposato la figlia. Era anche il palazzo dove si era sistemata sul finire dell'800 la Libreria e Cartolibreria del Sannio di Giovanni Podio, con l'edicola e la distribuzione dei giornali per tutta la provincia. Verrebbe da dire: la forza del destino. Rossi chiuse gli occhi l'ultimo giorno di febbraio del 1966, le signorine Podio misero fine alla storia di famiglia l'anno dopo.

MARIO PEDICINI

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