No ai tagli lineari delle strutture periferiche Società

La disinvoltura (sorella stretta del disinteresse) con cui la totalità dei pensatoi politici hanno snobbato la nostra discussione sul metodo che un riassetto delle istituzioni locali deve rispettare riemerge come una colpa grave ogni volta che il puzzle delle “entità scomparse” torna nelle cronache.

Adesso è il turno della Camera di Commercio. Il governo dice che ne debbano rimanere 60. Benevento sembra abbia già avviato il trasloco verso l'area vasta a prevalenza avellinese. Il nuovo eldorado sembra, infatti, racchiuso nella appiccicosa definizione di Area Vasta verso la quale i beneventani, con la coda tra le gambe, intendono indirizzare le loro mire di conquista.

Con quale criterio saranno tagliate le camere di commercio? Ma con lo stesso che si è praticato per le province immaginate prima soppresse, poi dimezzate e poi azzerate.

Allo scoccare del 150 anniversario dell'unità statuale, l'Italia dimostra di avere perso completamente la bussola. Le riforme sono all'ordine del giorno di tutti i governi, massime ora che Renzi deve entrare (già c'è entrato?) nel trittico dei mastri di festa dell'Unione Europea nella quale deve portare in dote un pacchetto quanto più ricco di riforme (promesse).

E se ottennero approvazione quelle di Monti (in primis il riordino delle pensioni) non so come potrà fare Renzi a farsi approvare gli strappi che a quella riforma vuole fare. Taglierà da qualche altra parte, o prometterà di farlo.

Intanto avanza (si fa per dire) il dibattito sul referendum...

Qualunque sia la forma di Stato che ne verrà fuori (dal referendum e dagli ulteriori passaggi organizzativi) è necessario stabilire quali “presìdi territoriali” saranno ritenuti irrinunciabili. Chiamateli prefetture o circondari o mandamenti (Area Vasta no perché dà l'idea di un concetto privo di confini), bisognerà stabilire quante ne dovranno esistere in ogni regione.

E qui torna il mio modello “proporzionale”, mutuato dal sistema elettorale D'Hondt. Il destino di Benevento si gioca nell'ambito della regione Campania. Qui abitano 5 milioni e ottocentomila abitanti, poco meno di un decimo del totale nazionale. Ebbene in Campania ci sono, fin oggi, 5 di queste circoscrizioni territoriali chiamate, fin oggi, province. A ciascuna di queste circoscrizioni corrisponde una serie di uffici e pezzi dello Stato e di ogni struttura pubblica e parapubblica (prefettura, questura, carabinieri, previdenza sociale, uffici finanziari, scolastici eccetera). Anche a voler considerare soppresse (e da esecrare in eterno) le strutture democratiche delle Province (consigli, giunte, presidenti, dipendenti, patrimoni immobiliari e strumentali), la domanda è: la presenza dello Stato e di ogni altro organismo pubblico (governativo e/o sociale) dove si apposterà? E tutte le forme associative private organizzatesi nel tempo “su base provinciale” che fine faranno?

I furbetti delle squadre di comando hanno avviato il metodo dei “tagli lineari”. A ciascuno togliamo un qualcosa e così abbiamo realizzato i risparmi. Prima di operare questi benedetti tagli, bisognerebbe però riequilibrare lo status quo. Se i furbetti proporranno che bisogna tagliare tanto “per ogni regione”, saranno penalizzate quelle regioni che hanno saputo mantenere una “compostezza” che ora rischia di rappresentare un punto debole.

Volendo considerare le regioni, non si può che prescindere da un dato numerico indiscutibile ed essenziale ai nostri fini. Che è quello della popolazione. In fondo tutto questo di cui si discute ha a che fare con il governo delle popolazioni e le strutture di servizio vanno dimensionate su di esse.

Fermiamoci all'attualità. Hanno deciso che le Camere di Commercio debbano rientrare nel numero di 60. Dividendo i 60 milioni di italiani per 60 si ha 1 milione. Ogni regione dovrà avere tante camere di commercio quante volte la sua popolazione abbia questo quoziente di un milione. In Campania ne verrebbero sei: per quale ragione, invece, ne deve avere solo 4?

Perché facciamo questo ragionamento? Perché la Campania è in condizione di mantenere le sue cinque ex provincie, trasformabili in circondari, mandamenti, prefettura o aree vaste che si vuole.

Benevento non chiede nulla alle altre quattro consorelle, se non una interessata solidarietà allo status quo, che non è un privilegio ma un “ordinario” diritto scaturente dalla forza (democratica) dei numeri.

MARIO PEDICINI

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