Alluvioni, basta commemorazioni Società

Andrebbero rapidamente smaltiti gli strani riti commemorativi dell'alluvione del 15 ottobre 2015 (fiaccolate, straordinari della Caritas, corsa podistica, e poteva mancare la notte bianca?) con annesse scaramucce polemiche per affrontare, con risolutezza, uno studio serio del sistema idrografico beneventano e trarne le dovute conseguenze per ciò che riguarda gli insediamenti umani.

Abbiamo ricordato, nell'immediato del tragico evento dello scorso anno, che non è colpa grave del Calore se ogni tanto si gonfia e, non trovando più gli spazi dalla natura garantiti, si infila in case abitate, in opifici industriali e masserie agricole. Da sempre (e ne fanno fede le cronache) il nostro maggior fiume, ad intervalli più o meno regolari, “porta piena”. In tempi di civiltà rispettosa della natura l'acqua in sovrabbondanza trovava tutto lo spazio necessario per distendersi, senza con ciò provocare gli sconquassi che sono, invece, assicurati dai muraglioni di ogni tipologia che, invece, “costringono” la massa d'acqua portandola ad altezze tali da farle acquistare una violenza distruttrice.

Non a caso ho parlato del sistema idrografico. Oltre al Calore, c'è il Sabato, il Serretelle e, a monte della città (perciò particolarmente pericoloso), il Tammaro, più torrenti e ruscelli. Quando nel bacino imbrifero cade molta pioggia (prevalentemente in autunno) la massa d'acqua che si sversa verso Benevento ha bisogno di spazi per una naturale, fisiologica, manovra di espansione e rallentamento.

A nessuno è venuto in mente che la passerella costruita nell'alveo del Calore a valle del ponte che fu di Vanvitelli, sottrae metri cubi di spazio per la fluenza del fiume. Di più. Nessuno s'è accorto che, per “livellare” la sponda del fiume, la passeggiata in cemento è stata raccordata con una massa di “gabbioni” che ha rialzato l'alveo di magra di non pochi metri. Invito espressamente il sindaco a far calcolare ai tecnici del Comune quanta è la sottrazione di metri cubi rubati al fiume. E quanta è l'acqua che presumibilmente salirà di livello fino ad infilarsi più facilmente nelle fognature delle zona abitate che si trovano al di sotto della fascia bianca del livello degli argini.

Ancora più importante è però la redazione di uno strumento di pianificazione urbana che impedisca a chicchessia di insediarsi nelle zone identificate come alluvionali. Se nel 1968 la scelta di Ponte Valentino per l'Area Industriale fu fortemente criticata da personalità di riconosciuta competenza tecnica, si resta allibiti all'idea che nessun consiglio di amministrazione di quell'organismo che ha cambiato nome e oggi si chiama ASI si sia posto il problema di cercare nuovi suoli per abbandonare quelli sicuramente a rischio inondazione. E sì che è proprio dell'ASI la competenza anche ad espropriare suoli occorrenti alla sua attività.

Si dà il caso, peraltro, che presidente di questo ASI sia oggi l'avvocato Luigi Diego Perifano, congiunto di quel Perifano che il proprio stabilimento per la lavorazione dei marmi spostò da Ponticelli a Pezzapiana. L'area industriale di Pezzapiana nacque, infatti, su impulso di alcuni operatori economici che non condividevano la scelta di Ponte Valentino. E' possibile che Diego, impegnato peraltro in politica fin dalla giovane età, non abbia mai sentito parlare in famiglia di questa cosa?

E perché mai, poi, il Comune si decise, tra gli anni '80 e '90, ad attrezzare il Piano di insediamenti Produttivi (PIP) nella zona di Contrada Olivola? Forse si ricordò che quella  era l'indicazione dell'Ordine degli Ingegneri del 1968?

Queste briciole di memoria non servono ad aizzare polemiche . Vogliono solo invitare chi di dovere a prendere il toro per le corna.

Università, CNR e uffici tecnici regionali e comunali devono essere chiamati a redigere uno studio sulla compatibilità delle attività umane con le caratteristiche dei nostri corsi d'acqua. In conseguenza di uno studio siffatto devono essere delocalizzati impianti industriali e commerciali, insediamenti di varia natura con un cronoprogramma rigoroso. Laddove sia indispensabile, si facciano pure opere murarie di contenimento o di deviazione, ma solamente in quella parte del Rione Ferrovia che è densamente abitato. Nessuna opera faraonica tesa a “disciplinare” il corso dei fiumi. Ponte Valentino, abbattuta ogni  testimonianza della scelleratezza umana, potrà diventare sito turistico come luogo della morte di Manfredi. Pantano potrà felicemente abituare i beneventani ad incontrare il fiume, diventando un parco ambientale.

Anche la grande piena, quando ci sarà, sarà per i beneventani uno spettacolo da osservare, non una minaccia di morte.

MARIO PEDICINI

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