Meglio l'Arco di Ancona proprio no Cultura

Parlò male del nostro Arco di Traiano John Chetwode Eustace prete irlandese, e andò male a lui, anzi malissimo. Ecco cosa scrisse quando passò per Benevento nel 1802 viaggiando per l’Italia, come era d’obbligo per intellettuali e aristocratici europei:

L’Arco di Traiano a Benevento è da molti considerato il più perfetto nel suo genere, ma a me non è sembrato tale. Le sculture sono così compresse e ammassate da non lasciare alcuno spazio vacante per far riposare l’occhio né alcun pannello liscio che contrasti con i rilievi per metterli in evidenza. Le troppe sculture appesantiscono il monumento e lo privano della prima delle bellezze architettoniche, la semplicità. A questo riguardo l’Arco di Traiano che ora sto contemplando a Benevento è inferiore di molto a quello di Ancona”.

Mai scritta una cosa del genere prima di allora, né dopo. Più erudito che colto, Chetwode era un affarista che comprava e vendeva cose d’antiquariato. Avendo capito che il Grand Tour stava per diventare una industria vacanziera pensò di vendere pure i suoi ricordi in una sorta di guida turistica, il volumone intitolato A classical tour through Italy and Sicily da cui ho tradotto il precedente brano. Le tre edizioni del suo giro attraverso l’Italia pubblicate dal 1813 al 1815 andarono a ruba.

Chetwode visitò parecchi centri dalle Alpi alla Sicilia, fece una capatina nella Benevento pontificia e commentò: “L’albergo non è molto buono, anche se sembra superiore a quello che ospitò Orazio e i suoi amici, come si può arguire dal pranzo che fu loro preparato”. La peggiore offesa fatta alla Taverna di Orazio. La verità è che il reverendo non si aspettava che il nostro Arco di Traiano fosse molto più che una banale traccia di antichità, e non ne descrisse le sculture perché ci capì poco o niente. Troppa roba da leggere uscendo e rientrando dalle mura di cui il monumento costituiva la Porta Aurea, lo dice chiaramente, lui sperava in qualche pannello senza scena per non affaticare il cervello, altro che gli occhi, e invece quel maledetto Arco richiedeva studio preventivo, che non aveva fatto. Il suo giudizio finale - l’Arco di Traiano di Benevento è inferiore di molto a quello di Ancona - deve aver distolto molti britannici dal venire qui in città. Peccato. Senonchè, a parlar male di cose beneventane talvolta può succedere che... insomma… appena don Eustace tornò da queste parti nel 1815, un’improvvisa ‘malaria di mare’ lo mandò in paradiso in pochi giorni. Successe a Napoli. No comment, please.

C’è però un turismo che conta senza che ci sia bisogno di contarne i numeri, studiosi, specialisti, uomini e donne di cultura elevata che a Benevento passano inosservati. Individuarli diventa indelicato, avvicinarli li mette a disagio, non è pratica comune qui da noi. Straordinario è conoscere le loro idee sui nostri monumenti, al posto di inutili elogi sdolcinati. Dialogare con personalità di questo tipo richiede di andare oltre le indagini conoscitive sul turismo di massa, sulle motivazioni del viaggio, sulle provenienze, sulle condizioni generali trovate in città, sui like o dislike per alberghi, gastronomia, prezzi. Provarci comporta poi il rischio di sentire discorsi non del tutto positivi sulla qualità del nostro patrimonio storico-artistico. Sto immaginando di attrezzarci a intercettare ospiti di alto profilo che possano stimolare riflessioni, incrinare certezze, produrre consapevolezza. Impegno notevole e specialissimo, lo so. Evitiamo? Ma no, sto solo immaginando...                                                  

ELIO  GALASSO

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