Ora lo smartphone puo' restare acceso anche a scuola Società

Da circa un mese ha avuto inizio il nuovo anno scolastico. La grossa novità nelle classi in questi primi tiepidi giorni d’autunno non è frutto dell’ennesima riforma epocale della scuola, bensì dell’accettazione di una realtà con la quale già da tempo insegnanti e genitori sono abituati a combattere e molto spesso a perdere. Il ministro Fedeli (o “la ministra”, come si usa dire oggi) ha infatti autorizzato gli studenti a tenere accesi i loro smartphone in classe.

Le polemiche a riguardo non sono mancate, ma come ho accennato sopra, sono anni oramai che è in corso la battaglia a proposito dei cellulari sui banchi durante le lezioni, sin da quando i telefonini non erano ancora degli strumenti tuttofare, ma avevano poche, limitate funzioni: effettuare e ricevere chiamate, scambiare messaggini, scattare foto e girare filmati di pochi secondi.

Sin da subito i professori non esitarono a vietarne l’uso, scatenando immediata l’alzata di scudi dei genitori, che reclamavano il diritto di potersi mettere in contatto con i propri figli in ogni momento, anche durante le lezioni. Probabilmente questi genitori conservavano ancora vivo nella memoria il ricordo delle lunghe, strazianti ore trascorse ogni giorno, nove mesi l’anno, senza poter udire la voce consolatrice di mamma e papà, dunque erano fermamente decisi a risparmiare ai loro rampolli un trauma così lacerante.

Fatto sta che quest’anno per la prima volta è la massima autorità scolastica del paese ad autorizzare gli studenti (si spera non anche quelli delle elementari, ma è meglio non dare nulla per scontato) a non lasciare spento il loro accessorio preferito mentre i professori spiegano o interrogano. È incerto se l’uso dello smartphone possa essere consentito anche in occasione di verifiche o esami, ancora non sono arrivate direttive a riguardo.

E se da un lato la reazione dei giovani scolari è stata, come prevedibile, entusiasta, tra i meno giovani non sono mancate voci contrarie a quest’innovativa decisione. Certo, dicono gli psicologi, l’individuo moderno, adolescenti compresi, non può più fare a meno di essere connesso con il mondo, escludere gli smartphone dalla scuola equivarrebbe a tagliare fuori un’ampia fetta della realtà dalla vita quotidiana di milioni di giovani. Non si può arrestare il progresso e d’altronde i telefoni con la connessione ad internet possono rappresentare un’utile occasione per approfondire i contenuti delle lezioni, in nome della multimedialità.

Ma la scuola italiana è veramente pronta a gestire tanta modernità nelle aule? I programmi di studio sono al passo con la società iperconnessa? Permettetemi di dubitarne: se escludiamo alcune (costose) scuole private o pochi istituti sperimentali, la maggior parte dei ragazzi ancora oggi sono costretti a portarsi sulle spalle zaini carichi di libri, volumi pesanti che constano di centinaia di pagine l‘uno. Avete mai assistito allo spettacolo di un ragazzino di 11-12 anni piegato in due a causa di uno zaino che equivale almeno ad un quinto del suo peso? Non sarebbe stato più opportuno allora introdurre a scuola gli ebook, piuttosto che gli smartphone? Le colonne vertebrali dei nostri figli ne sarebbero state immensamente più felici.

Inoltre, pur essendo gli anni dei miei studi scolastici abbastanza lontani nel tempo, faccio sinceramente fatica ad immaginare tanti giovani che usano i loro telefoni per fare ricerche sugli argomenti spiegati dai docenti. Reputo più probabile che gli smartphone rappresentino un’inevitabile distrazione, consentendo ai ragazzi di chattare da un banco all’altro, giocare online o addirittura visitare siti non propriamente adatti alla loro età.

La scuola italiana è indubbiamente indietro sui tempi e sulle nuove tecnologie, ma per recuperare questo ritardo occorrono riforme (serie), investimenti, docenti aggiornati e preparati. Non si può certo lasciare uno strumento nelle mani degli studenti e sperare che questi ultimi, da soli e senza una guida, ne facciano il miglior uso possibile per l’apprendimento. Il quale, se non erro, è ancora il principale motivo per cui si mandano i ragazzi a scuola.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO

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