La crisi dilaga ma si fa finta di niente Economia

Aumentano giorno dopo giorno le piccole e micro imprese costrette a ridimensionarsi, se non addirittura a chiudere, anche in provincia di Benevento. L’entusiasmo e la passione per il lavoro che ha sempre contraddistinto la classe imprenditoriale sannita, oggi non basta più: servirebbero azioni concrete, mirate, in grado di tenere accesa la fiammella della speranza per tante imprese, prevalentemente familiari, che ancora resistono. Per meglio capire come l’attuale crisi economica stia incidendo sul nostro sistema produttivo, ne abbiamo discusso con due protagonisti, di ieri e di oggi: Roberto Costanzo e Michele Pastore. L’uno, da sempre impegnato nel mondo dell’agricoltura, per lunghi anni è stato presidente della Camera di Commercio; l’altro, amministratore della “Liderlat”, è oggi Vice presidente di Confindustria Benevento e membro della Giunta camerale.

On.le Roberto Costanzo, alla luce della sua lunga esperienza alla guida della Camera di Commercio, come vede la situazione economica della nostra provincia in questa fase così difficile per il nostro paese?

«La caduta dell'economia nazionale ha provocato, diciamo nella stessa misura, una ricaduta anche nella nostra provincia. Per la sua particolare condizione e dimensione, l’economia sannita ha dimostrato in passato di saper resistere più di quanto avvenisse nel quadro nazionale; mentre oggi, per la prima volta, vedo in provincia di Benevento un’assuefazione, quasi passiva, alla fiumana della crisi economica nazionale. E questo mi preoccupa».

E allora cosa si potrebbe fare, non dico per eliminare ma almeno per frenare la crisi delle nostre aziende, molte costrette a chiudere?

«Si potrebbe, non in maniera complicata ma in modo semplice e veloce, individuare, ed in qualche modo schedare, le varie situazioni: quali sono, cioè, le aziende che non riescono a resistere, in quali settori produttivi operano, in quali specifici comparti, di quali dimensioni aziendali, in quale distretto sub provinciale; e vedere, così, quali sono quelle che effettivamente si sentono più colpite, in maniera mortale, da questa crisi, che è nazionale ed europea. E, di conseguenza, quali strumenti di difesa e riconversione è possibile ed utile adottare».

Uno studio del genere, chi dovrebbe promuoverlo?

«Dovrebbe essere una delle iniziative da prendersi in maniera sinergica, ma senza troppa teorizzazione, da un gruppo di studio snello da costituire -ad horas!- tra Camera di Commercio, Università e Provincia di Benevento -naturalmente, sentendo le organizzazioni di categoria. Io non credo che sia tutto perduto e che bisogna rassegnarsi a farsi trascinare in maniera inerte da quest'onda che sta investendo tutte le regioni e le province d'Italia».

Cosa pensa dell’attuale classe politica dirigente? Ritiene che si stia muovendo in modo adeguato alle esigenze di oggi?

«Personalmente, non condanno mai nessuno. Però una cosa potrebbero fare: non puntare tutto sull'aiuto pubblico esterno e continuare ad illudersi che, soltanto con finanziamenti pubblici, soprattutto quelli transitati per la Regione, si risolvano i nostri problemi. Chi ricopre ruoli di responsabilità –pubblica, associativa o semplicemente imprenditoriale- dovrebbe, in maniera realistica, mettersi intorno ad un tavolo e cercare di stabilire quello che in questa particolare congiuntura è possibile fare. Con questo non voglio dire che non è necessario l'incentivo pubblico: è necessario, ma non esaustivo».

Lei si è sempre interessato di agricoltura, è cresciuto e si è formato nella Coldiretti. Oggi però anche l’agricoltura vive una crisi irreversibile... insomma, siamo proprio in una situazione negativa senza ritorno?

«Che anche l'agricoltura sia colpita dalla crisi, è fuor di dubbio; però non userei il termine irreversibile: in economia nulla è del tutto irreversibile. In provincia di Benevento, la crisi agricola non è determinata soltanto dal tabacco, ma anche da altri comparti importanti, quali la viticoltura e, in misura meno grave, la zootecnia. Dobbiamo pertanto pensare, non solo alle nuove colture, ma anche a modelli produttivi ed imprenditoriali agricoli innovativi rispetto al passato: il dopo-tabacco, non può determinare anche un dopo-vino. No, bisogna fare di tutto per salvare la vitivinicoltura sannita. E su questo, non tutti sono d'accordo sul fatto che per salvare la nostra vitivinicoltura bisogna partire dai vigneti: per fare del buon vino, bisogna innanzitutto fare della buona uva. Archiviando la storica tabacchicoltura, puntare sulla qualità, specializzazione e multifunzionalità della viticoltura e della zootecnia, soprattutto quella da carne. Bisogna immaginare nuove forme di conduzione delle piccole e medie imprese agricole: quelle, cioè, che riescono ad esprimere una produzione lorda vendibile, non inferiore ai 20mila euro, che in provincia di Benevento saranno 7-8mila. Ecco, salvare l'agricoltura in provincia di Benevento, significa salvare queste imprese, anche quando si tratti di imprese part-time».

E come si fa?

«Non è assolutamente facile, ma nemmeno impossibile: bisogna tracciare dei percorsi di un nuovo modo di fare agricoltura, sia nei settori tradizionali che in altri comparti produttivi».

Eppure in questo territorio operano diverse aziende-modello, vere eccellenze sui mercati internazionali: vedi Alberti nel comparto dolciario o il gruppo Mataluni in quello oleario o il Pastificio Rummo per la pasta o le nostre Cantine Sociali per il vino…

«Certo, l’imprenditoria sannita ha pure delle eccellenze, in particolare in campo alimentare, ma non solo: il bicchiere non è sempre mezzo vuoto, ma anche mezzo pieno. Però credo che il settore che più di altri sente la crisi, sia quello dei servizi e del commercio: sono le piccole aziende familiari commerciali quelle che stanno attraversando un momento molto, molto difficile. Anche gli altri settori produttivi si trovano in difficoltà, ma la difficoltà dell'industria e dell'agricoltura è meno grave, e forse meno irreparabile, della crisi che colpisce il commercio».

GIUSEPPE CHIUSOLO 

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