A Montevergine per contemplare gli occhi di 'Mamma Schiavona' Chiesa Cattolica

Per la comunità parrocchiale di San Gennaro in Benevento questo mese di maggio è particolarmente intenso e carico di eventi mariani e culturali: la benedizione del 14° pellegrinaggio Benevento-Pietrelcina e il primo anniversario della beatificazione di Giovanni Paolo II il primo di maggio, il pellegrinaggio a Montevergine il giorno 5, la celebrazione della cresima per un gruppo di giovani il 6, la supplica alla Madonna di Pompei l’8, la presentazione del libro su Bettina Tozzi all’ospedale Rummo di Benevento e nella chiesa parrocchiale di Reino il 10 e il 12 con gli interventi di Davide Nava, mons. Francesco Zerrillo, Nicola Boccalone, Domenico Tozzi e don Luca Capozzo, il 95° anniversario dell’apparizione della Madonna di Fatima il 13, il recital nell’auditorium San Gennaro su storia e messaggio della Madonna di Guadalupe a cura della comunità di “Maria Stella dell’evangelizzazione” il giorno 18, prima proiezione del film “Sui passi dell’amore” sulla storia della beata Teresa Manganiello il giorno 21 al cinema San Marco di Benevento, il 125° anniversario della nascita di Padre Pio il 25 e la prima comunione dei ragazzi il 27 maggio.

Il momento più significativo di questo mese mariano il pellegrinaggio di sabato 5 maggio alle ore 14.30 a Montevergine per ammirare e venerare in via del tutto eccezionale l’antica icona bizantina della Madonna restaurata. Oltre 100 fedeli saliranno sul monte Partenio per contemplare nella sala del trono del museo Verginiano l’icona di “Mamma Schiavona”, prima che venga ubicata nell’antica cappella del Crocifisso, ove i nostri padri l’hanno venerata prima degli eventi bellici. Sarà il dott. Giuseppe Muollo della Soprintendenza di Avellino a presentare la consistenza dei delicati lavori di restauro.

Oggi Montevergine è il più famoso santuario dell’Italia meridionale. Sul monte Partenio, a 1300 metri d’altitudine salì anche il poeta latino Virgilio di origine mantovana per ricrearsi nel corpo e nello spirito, sotto un dilagare di castagni, un mare di faggi e un panorama mozzafiato: il Vesuvio sonnacchioso, la vicina città di Avellino, l’intero Golfo di Napoli con Capri, Ischia, Procida e la vasta piana della “Campania felix”. Qui sorgeva nel passato un tempio dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.

Nei primi anni del Mille, un giovane pellegrino diretto in Palestina, Guglielmo di Vercelli, proprio quassù ebbe la folgorazione: gli apparve Gesù per dirgli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine, organizzandovi la congregazione verginiana, nuovo germoglio dell’annoso tronco benedettino. San Guglielmo si spense nel 1142 nel monastero di San Salvatore in Goleto, nel territorio di Sant’Angelo dei Lombardi.

Da qui l’inizio di una storia gloriosa che farà di Montevergine la casa madre di 50 piccoli monasteri, imponendo ai re di Napoli e ai pontefici la propria indipendenza. Ma il quadro di Mamma Schiavona, che misura metri 4,60 per 2,10 e pesa oltre 8 quintali divenne la irresistibile attrazione di tantissimi fedeli, molti dei quali salirono per devozione lungo la strada mulattiera a piedi nudi e piagati, aggrappandosi ai cespugli spinosi, per invocare nel sacrificio grazia e misericordia.

Qui per 3 secoli furono custodite le reliquie di San Gennaro prima di essere trasferite a Napoli nel 1497 e dal 1939 al 1946 fu custodita segretamente la Sacra Sindone per sottrarla alla furia di Hitler. La prima chiesa fu edificata nel 1126 in stile romanico e poi gotico, crollata nel 1629 fu ricostruita nel 1645. L’attuale cattedrale è di recente costruzione e la fabbrica è stata completata nel 1961. Appartiene a Montevergine l’abbazia di Loreto in Mercogliano, splendida struttura opera del Vaccaro, che ospita la straordinaria biblioteca con 200mila volumi, un archivio di 7000 pergamene e un antichissima farmacia.

L’avventurosa storia dell’icona

Un alone di mistero avvolge la storia dell’icona di Montevergine che viene attribuita a vari autori. Nel Seicento si dà credito alla leggenda che voleva tale icona dipinta dalla mano di San Luca Evangelista a Gerusalemme, esposta poi ad Antiochia e trasportata infine a Costantinopoli, l’attuale Instanbul. Durante l’ottavo secolo, in seguito all’insediamento di Michele Paleologo sul trono di Costantinopoli, l’imperatore Baldovino II, in fuga, avrebbe fatto recidere la testa del quadro portandola con sé durante il suo esilio, salvandola così dalla distruzione da parte degli iconoclasti che in quel periodo davano una caccia serrata a tutte le immagini sacre. L’immagine del volto della Madonna sarebbe così giunta per via ereditaria nelle mani di Caterina II di Valois, che dopo averla fatta completare da Montano d’Arezzo, nel 1310 l’avrebbe donata ai monaci di Montevergine, facendola collocare nella cappella gentilizia della famiglia d’Angiò.

Cinquant’anni fa, durante il Concilio Vaticano II, l’autorità ecclesiastica affidò ad alcuni critici e storici dell’arte il compito di stabilire la corretta paternità del quadro e il periodo preciso del suo arrivo a Montevergine. La leggenda perse presto consistenza perché nel 1310 Caterina II di Valois aveva appena 10 anni e solo 3 anni più tardi sposò il principe Angioino Filippo II di Taranto, una pergamena conservata a Montevergine dimostra che il quadro si trova presso il santuario già alla fine del 1200. Nel 1964 lo studioso Padre Giovanni Mongelli, monaco verginiano, ipotizzò che la paternità del quadro potesse essere attribuita al famoso pittore romano Pietro Cavallini, o alla sua scuola, per la presenza di elementi stilistici della sua tecnica pittorica e per l’intonazione bizantina con il tipico modo di panneggiare.

I gigli Angioini intorno all’immagine della Vergine legano indiscutibilmente l’origine pittorica a quella casa regnante, ma è certo che il Cavallini lavorò presso la corte dei d’Angiò. Gli storici hanno confutato tutte le leggende sorte nel Medioevo: miracoloso ritrovamento della tela, opposizione del mulo che la trasportava ai comandi del cavaliere per seguire la strada che conduce a Montevergine, ecc… Secondo padre Placido Mario Tropeano, già direttore della biblioteca di Montevergine, la prodigiosa immagine può essere ragionevolmente ascritta al catalogo organico di Montano d’Arezzo che rimaneggiò in maniera tanto consistente l’immagine da ridefinire quasi totalmente la geometria del quadro.

PASQUALE MARIA MAINOLFI 

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