Gratta un irpino e troverai un lupo Chiesa Cattolica

Il Salmo biblico 92 si esprime così: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi».

Il sacerdote francescano cappuccino Antonio Salvatore, nato a Carife in provincia di Avellino, ha da poco compiuto 80 anni. La sua vivida fede, il fervente apostolato e la sua ricerca storica continuano a sorprenderci.

Ho avuto modo di apprezzarne umanità squisita, religiosità profonda e vastissima cultura negli anni Ottanta, quando io ero parroco di Sassinoro e lui guardiano del convento di Morcone. Nei 15 anni in cui ho svolto il ruolo di direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose «Redemptor hominis» di Benevento, l’ho voluto valido docente di Storia della Chiesa medievale. Poi, è passato al convento e alla parrocchia di Montefusco. Attualmente risiede nel convento dei cappuccini di San Severo (Fg).

Padre Antonio è frate dal 1958 e sacerdote dal 1966. Licenziato in Teologia presso i gesuiti di Posillipo, è laureato in Lettere classiche presso l’Università del Sacro Cuore di Milano. Appassionato cultore di storia locale. Ha a suo carico diverse ed interessanti pubblicazioni: una puntuale storia di Aeclanum, la presenza dei capppuccini a Montefusco, il monastero di Santa Caterina a Montefusco, la chiesa di San Bartolomeo in Montefusco, padre Pio a Montefusco, padre Bernardo da Gallo, i cappuccini e padre Pio a Morcone, Montefusco capoluogo del Principato Ultra nel Regno di Napoli e, in questi giorni, «Irpinitudine. Passato e presente dei grandi Irpini». Qui sviscera tutto l’amore appassionato che porta all’incantevole terra irpina, con accenti esaltanti e contagiosi. Il libro di 134 pp., stampato da Il Terebinto edizioni in questo 2021, dopo la prefazione breve, intensa e profonda dello storico avellinese Francesco Barra, docente presso l’Università di Salerno, e la introduzione dell’autore, si snoda in 8 capitoli assai interessanti: Irpinia e irpini, Letterati-artisti e uomini di Chiesa, Irpini e arti figurative, Santità irpina, Irpinia contemporanea, Irpinia e società, Giornalisti e scrittori, Gli irpini nello sport.

Il titolo «Irpinitudine», neologismo coniato dallo stesso autore, esprime e conferma l’appassionato amore che padre Antonio Salvatore sente per la sua Irpinia. Un’Irpinia «viva ed autentica, fatta di eventi storici reali e di uomini concreti, di cui delinea con tacitiana essenzialità, i tratti più caratterizzanti».

Un saggio preziosissimo ed essenziale che mi piacerebbe vedere tra le mani degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, almeno nel territorio irpino. Infatti non è possibile costruire il presente e progettare il futuro senza la consapevolezza di un retroterra etico, culturale e psicologico, saturo di valori, consuetudini, capacità di adattamento di fronte alle mille situazioni imprevedibili della storia.

L’autore cita anche il sottoscritto come amico benevolo che ama definirlo affetto da «irpinite acuta», ma lui preferisce il termine «irpinitudine» che non è una malattia, ma amore viscerale per i monti, le valli, il verde, i borghi, le albe e i tramonti di questa terra benedetta da Dio. Si tratta di formidabile empatia per la gente forte, rude e generosa dell'Irpinia.

L’autore, con pennellate essenziali ed efficaci, tratteggia gli esponenti irpini contemporanei, presenti quasi in ogni ramo di attività: scienza, politica, critica letteraria, giornalismo, sport e spettacolo. Spende parole di ammirazione per il grande politico Fiorentino Sullo di Paternopoli, ma non lesina giudizi severi per «i magnifici cinque», De Mita, Mancino, Bianco, Gargani e Zecchino, che, a motivo dei ruoli significativi svolti a livello nazionale, hanno rappresentato una fortuna sognata e mai realizzata per la provincia di Avellino.

Le note più belle padre Antonio Salvatore le armonizza nel delineare le virtù e i difetti dell'homo hirpinus: spirito di sacrificio, orgoglio, testardaggine, rudezza, senso di appartenenza, individualismo, litigiosità, suscettibilità, capacità di adattamento, intelligenza e carrierismo. Prerogative che offrono l’immagine dell’irpino tipico che tutte le possiede, ma sa anche metterle da parte ove l’opportunità lo richiede. Dunque il lupo irpino perde il pelo, ma non il vizio e, nonostante la crescente globalizzazione, se gratti un irpino vi troverai pur sempre un lupo. Sono le dinamiche dello studio temperamentale, ma anche le espressioni di un grande amore per la propria terra e per la propria gente che bevono alle sorgenti del cuore e assumono il ritmo del canto e della danza.

PASQUALE MARIA MAINOLFI