Oltre le mura/33 - Benevento 'location di periferia' Cultura

“A molti - scrisse sconfortato Oscar Wilde - basta una maschera sul volto a Carnevale per credersi dame e signori”. Totò, invece, guardandosi intorno si divertiva: “La gente che maschera i propri difetti mi fa ridere tutto l’anno, al punto che solamente i cimiteri mi sembrano un… mortorio”. Ma, oltre a certe persone, pure qualche città indossa una maschera d’apparenza, Benevento per esempio, mentre c’è in Italia chi non si accontenta di risate e coriandoli e, ricordando il detto antico che ogni scherzo ‘vale’, prova a sperimentare quanto possa valere in termini economici e culturali un Carnevale. Qualche piccolo borgo s’è già fatto i conti e ha rinunciato alle processioni di figuranti in falsi costumi d’epoca, alle caricature pacchiane dei politici e perfino alle ragazze in bella vista sui carri. L’idea nuova è spendere meno e guadagnare in vari settori investendo su potenzialità trascurate. Oggi ci si affida soprattutto all’intraprendenza di giovani con idee innovative.

Benevento non è un borgo, ma purtroppo neppure un centro di sperimentazione e produzione di cultura. Il suo patrimonio culturale resta improduttivo anche se surclassa quello dei tanti piccoli centri che per la scarsa consistenza del materiale disponibile ripetono ogni anno le stesse manifestazioni carnevalesche. Ronciglione, in provincia di Viterbo, rievoca a Carnevale la cinquecentesca Cavalcata di Ussari della sua storia antica, una corsa di soldati per le strade, visivamente attraente per migliaia di turisti ma senza arricchimenti o variazioni. A Cento, in Romagna, ogni anno declamano in piazza il Testamento di Tasi, un signorotto che si divertì a spiattellare i vizi segreti dei suoi concittadini, i quali da due secoli continuano a bruciare il suo pupazzo su un rogo durante il loro Carnevale gemellato addirittura col celeberrimo Carnevale di Rio. Sarebbero iniziative di mero interesse locale senza una politica capace di elevarle sul piano internazionale.

Benevento potrebbe progettare novità in continuazione, produrre cultura di qualità con un proprio marchio, esportarla traendone un tornaconto. A disposizione ha una quantità di materiali, architetture e opere d’arte, figure storiche e documenti, oggetti, testimonianze. Sono frammenti di una identità affascinante costruita in secoli ormai lontani, materiali pronti per ricavarne magari sceneggiature inedite per cinema e teatro. Ma nessuno ci prova. Pretende in prestito mostre di grande spessore ma non offre nulla in cambio. “La sua città è una location periferica che terrò presente” mi promise, bontà sua, a Milano il managing director di una Casa d’Aste d’Antiquariato. Una ‘location’ di periferia! Questa l’immagine che Benevento diffonde di sé.

“Il vostro straordinario patrimonio reclama tanti autori capaci di interpretarlo in forme attuali, quanti ne avete a portata di mano?” mi chiese a sua volta Robert Carroll, grande pittore americano tra i protagonisti mondiali della beat generation insieme ad Allen Ginsberg e Jack Keruac. Il nuovo non s’improvvisa, lui ribadiva, e me ne diede gratuitamente una prova concreta. Dopo essersi aggirato per mesi in città, realizzò una originale Veduta del Chiostro di Santa Sofia all’acquaforte (nella foto) e la donò al Museo del Sannio. Analogamente, il pittore ligure Giovan Battista De Andreis visse a lungo le atmosfere del nostro centro storico dopo avere accettato il mio invito a realizzare, senza alcun compenso, quattro intriganti Scene stregonesche beneventane dal sapore ultramoderno. Tutte opere d’arte di altissimo livello prodotte a Benevento, diventate famose non soltanto in Italia. Ma conosciute da quanti beneventani?         

Il nuovo non s’improvvisa, è ovvio, ma richiede competenze da acquisire con umiltà. Occorrono continuità di ricerca e relazioni con istituzioni specifiche e personalità della cultura internazionale. Serve una politica con una visione non provinciale. Vedremmo una Benevento senza la maschera di ‘città di cultura’, capace di non ridursi a ‘location’.

ELIO GALASSO