Da Goya a Iside passando per il ''capirote'' Cultura

Accadde nel 1988, quando scrissi il saggio Streghe diavoli e morte (Edizioni Museo del Sannio). Fino a quell’anno nessuno aveva mai ipotizzato che la nomea di “Benevento terra di malefici” fosse nata milleseicento anni fa dalla demonizzazione del culto di Iside praticato in città e non da presunti riti diabolici attribuiti ai Longobardi, arrivati peraltro nel sud Italia non più pagani ma convertiti al Cristianesimo.

L’ipotesi era scaturita mentre osservavo una stampa all’acquaforte del 1799 esposta a Madrid nel Museo del Prado intitolata Aquellospolbos, Quelle polveri magiche, firmata dal grande Francisco Goya, dove una povera donna sottoposta a giudizio per stregoneria dal tribunale dell’Inquisizione ascolta il prelato accusatore seduta, a mani giunte e con in testa un capirote, il cappello dei penitenti a forma di cono allungato. Quel cappello ‘stregonesco’ mi rimandava a immagini arcaiche, l’accusata pareva un faraone con la tipica corona appuntita però fisicamente malridotto, accasciato sul trono, quasi uno dei martoriati reperti egizi residui della distruzione del tempio di Iside e della streghizzazione della dea ‘signora di Benevento’.

Nel museo madrileno, guardando la donna ritratta nella stampa, qualcuno sussurrava “Si sarà pentita dei suoi incantesimi, fatture, delitti? Avrà evitato il rogo?”. Ma l’immagine di lei umiliata pubblicamente con il capirote, costretta a incurvare spalle e testa, mi svelava intanto l’intenzione ironica dell’Artista di sottrarre solennità ipocrita a un’accusa assurda destinata a finire in tragedia. Ancora un po’ e il cappellaccio da strega che avevano imposto all’accusata sarebbe caduto a terra tra le risate di una folla accecata da bramosia di sangue, mentre improvviso nel silenzio dell’imminente sentenza si sarebbe invece dovuto sentire il monito del piccolo capolavoro d’arte denso di pensiero nuovo: la svolta liberatoria, proclama con esso Francisco Goya, è merito di noi artisti che per primi abbiamo cominciato a ridicolizzare chi accusa di stregoneria le donne e gode nel torturarle, condannarle, mandarle al rogo.

Di quell’imprevista mia idea di connettere la nomea di “Benevento città di malefici” all’antica demonizzazione del culto di Iside parlai a ‘don’ Salvatore Moffa, corrispondente beneventano dell’ “Osservatore Romano”, che ne discusse in Vaticano con Mario Agnes, Direttore del quotidiano pontificio, e con altri studiosi, tutti sorpresi dalla conseguente ipotesi di un ritorno di Isis lactans in forma di Maria lactans nelle immagini della Madonna con un seno scoperto presenti in città, particolarmente nell’affresco medievale a destra nell’abside della Chiesa di San Francesco in Piazza Dogana e nella quattrocentesca statua della Madonna delle Grazie sempre coperta da gioielli donati dai fedeli.

Nacque così nel 1988, nella Rocca dei Rettori, la Mostra Streghe diavoli e morte con centinaia di incisioni prestate da collezionisti privati italiani. Ne rimane il Catalogo ricco di preziose immagini. Il percorso di quella idea culturale culminò nel 1997 a Milano con la mostra Iside, il mito il mistero la magia dove tutte le sculture egizie del Museo del Sannio furono esposte nella prestigiosa sala centrale del Palazzo Reale. Nel Catalogo il mio saggio intitolato Iside madonna e strega di Benevento azzerava finalmente le vecchie falsità storiche per dare spazio alle moderne creazioni di musicisti, scrittori, artisti, che dall’Ottocento immergono Benevento in una magia fatta non più di orrori ma di bellezza.

ELIO GALASSO