Fontane occasioni d'amore Cultura

Stavo per metter via l’invito a visitare a Parigi la Mostra À boire, à voir (Andiamo a bere, a vedere), una fra le tante di cui mi arrivano avvisi. Per fortuna feci caso al sottotitolo - A la découverte des fontaines parisiennes - che stimolava i parigini a riscoprire e utilizzare le loro fontane di strada, e così mi sono gustato le intriganti fotografie presenti in quella Mostra. Tenutasi al Pavillon de l’Eau presso il lungosenna Georges Pompidou, l’esposizione ha registrato migliaia di visitatori.

Nelle nostre strade non abbiamo fontane moderne come le francesi fontaines arceau, le fontane ‘ad archetto’ in acciaio diventate un’attrazione turistica per l’elegante design, la qualità dell’acqua erogata e la capacità di igienizzarsi da sé. Ma si vanno diffondendo - anche a Benevento e dintorni - gli erogatori di acqua pubblica a pagamento contenuto, che erogano acqua controllata, non priva di minerali utili, solitamente superiore a quella imbottigliata che spesso invecchia nei magazzini prima della scadenza essendo privata del contatto continuo con l’ossigeno dell’aria.

È dunque ormai segnata la fine delle fontane di strada cui attingeva chi non aveva rubinetti in casa, il passante assetato, il cane randagio? Recenti studi statistici dimostrano che non è così, sono spariti solo gli incontri d’una volta presso le fontanelle nei centri storici e nei giardini aperti a tutti, lungo le strade interurbane e nei sentieri di campagna, negli slarghi o all’incrocio dei vicoli, perché non è più lì che nascono oggi amicizie e solidarietà, pettegolezzi e pregiudizi e si viene a sapere tutto di tutti. Abbiamo scelto luoghi diversi, virtuali, molto meno romantici, rinunciando alla complicità delle fontanelle per furtive occasioni d’amore come quelle così cantate un secolo fa da E.A.Mario:

Sta funtanella

ca ména ’a tantu tiempo ll’acqua chiara

ha fatto ’a chiù ’e ’nu seculo ’a… cummara:

piccerenella venette ’a nonna a bévere,

e ce steva ’nu figliulillo, all’ombra,

che ’a vedeva….

Però noi italiani abbiamo ancora nelle città e nei piccoli borghi ben quattordicimila fontane pubbliche puntualmente censite, monumentali e non, in pietra o in metallo. Una ricchezza inimmaginata. Le più diffuse, le colonnine in ghisa, stanno lì umili a implorare qualche cura, qualche restauro se presentano elementi d’artigianato pregevole o tracce scritte di chi le realizzò. Benevento non ne ha quasi più nessuna, ma può vantarsi di avere fontane storiche sufficientemente accudite, prima fra tutte quella ‘francese’ in Piazza Santa Sofia a cui le donne dei quartieri Trescene e Trappeto hanno attinto fino ai primi del Novecento.

Improponibile sarebbe tuttavia il confronto tra le nostre cure e quelle che vengono date alle pubbliche fontane di Milano, dove numerosi sono gli assetati che scherzosamente dicono “vado al bar del Comune” quando vanno a bere a una delle loro Vedovelle a pulsanti manuali con tanto di stemma civico. E ancora più cure ricevono a Torino i Torelli, le settecento fontanelle metalliche con la testa di toro, l’animale totem della città piemontese dove vari ristoranti ‘minerale-free’ rifiutano di servire a tavola acqua imbottigliata e servono invece la salutare acqua di sorgente verificata dalle autorità locali.

A sentir queste novità però c’è sempre chi, specie a Milano, avverte come troppo ‘plebeo’ pasteggiare con l’acqua che scorre dai rubinetti di strada o sussurra dagli erogatori comunali. Lo so bene ma me ne faccio una ragione, come si suol dire. Tant’è che, in presenza di qualche snob milanese per me facile da individuare, ripeto ogni volta ironicamente a bassa voce, provando a farmi sentire, i versi che il sofisticato poeta greco-ellenistico Callimaco scrisse duemilatrecento anni fa:

Mi ripugna ogni cosa divisa con altri,

odio l'amante che a tutti si dona,

scanso le vie piene di folla,

a fontana di piazza non bevo…

ELIO GALASSO