L'abate di Saint-Non tra le canaglie di Benevento Cultura

“L’Arco di Traiano? È un’opera scadente, architettura sproporzionata, bassorilievi pesanti, figure troppo corte. Ne parlano bene solo gli italiani. Di gran lunga inferiore all’Arco di Tito a Roma per stile e caratteristiche delle sculture, somiglia così tanto ad esso che non si può dubitare che ne sia una imitazione, una copia senza pretese”. Il ricco prelato francese arrivato da Parigi parlava così alla sua équipe di disegnatori, sicuro di non essere capito dai beneventani che lo circondavano incuriositi, ma i suoi modi esprimevano tutto il disgusto di trovarsi tra monumenti di scarsa importanza, in una città piena di canaglie che s’impicciavano dei fatti suoi. Questo e altro ha lasciato scritto, con espressioni insolenti ed errori culturali. Per me è un mistero il fatto che nessuno a Benevento lo abbia mai letto e contestato.

Si chiamava Jean-Claude Richard de Saint-Non (foto), era un archeologo e storico dell’arte alquanto prevenuto, scrisse il Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples et de Sicile, diario del suo viaggio del 1760ss. nel sud Italia, un’opera pubblicata in cinque volumi a Parigi, diventata famosa e mai tradotta in italiano. Ai disegnatori che lo accompagnavano dobbiamo quattro piccole vedute incise all’acquaforte: l’Arco di Traiano, il Teatro Romano, l’Arco del Sacramento, la Fontana di Santa Sofia. Animate da figure ed episodi di vita tipici, ripresi ‘dal vivo’ come poi soltanto le fotografie hanno potuto fare, raccontano la bellezza di una Benevento settecentesca più accattivante di ogni narrazione letteraria. Eppure nessuno studioso li ha finora notati!

Le sue impressioni su Benevento l’abate di Saint-Non le scrisse stizzito, la giornata turistico-culturale era cominciata male per lui quarantenne in carrozza e per gli altri, ventenni, forse tutti a cavallo: Ero stanchissimo per il viaggio. Un caos detestabile la strada lungo la Valle Caudina. Partiti da Napoli di buon mattino arrivammo a Benevento addirittura a mezzogiorno”. Per far presto non si erano fermati nell’unica posta di cambio dei cavalli ad Arpaia, e perciò avevano rallentato man mano. Qui in città trovarono una malandata locanda con la stalla, cibo mediocre e povera gente. Nel pomeriggio andarono all’Arco di Traiano.

Nella veduta dell’Arco il disegnatore Louis-Jean Desprez ritrasse una popolana che si avvia verso la campagna muovendosi con disinvoltura sul lastrico di ciottoli di fiume tra dossi ed erbacce, con una bisaccia nella sinistra e una ‘langella’ piena d’acqua sulla testa protetta dal ‘cércine di maccaturo’, un fazzoletto arrotolato. Un uomo a cavallo sta per attraversare il fornice - allora varco della Porta Aurea della città - dopo essere passato accanto a un gruppo in cui spicca un militare armato di fucile, con mantello e cappello piumato.

La mattina seguente fu dedicata agli altri monumenti. “Andammo subito - scrive l’abate, in un francese fin troppo sofisticato - a vedere le rovine dell’Anfiteatro, che non è ben conservato. Scoprimmo che la sua struttura e le decorazioni erano le stesse di quelle di Capua…”. Dunque ancora una copia, secondo lui, un lavoro di muratori e scalpellini locali. In realtà, non sapeva di avere di fronte non un anfiteatro ma le rovine del Teatro romano emergenti dal sottosuolo, adattate ad abitazioni. Il disegnatore Pierre-Gabriel Bertheauld invece, coinvolto dalla caratteristica quotidianità che aveva davanti, ritrasse varie persone tra gli anfratti del monumento seminterrato, una donna seduta di spalle su una sedia davanti a una bancarella, un’altra con in mano la rocca per filare la lana, due preti in lontananza, uomini in transito con asini e capre.

Arrivati all’Arco del Sacramento, qualcosa turbò l’abate di Saint-Non che all’ improvviso svicolò in fretta lungo la salita senza prendere appunti sul monumento: davanti all’arco, in un gruppo di donne e uomini, aveva visto una giovane madre a seni scoperti che seduta su un masso allattava il suo bambino, un gesto naturale e frequente in un quartiere dove la vita si svolgeva soprattutto in strada fuori dai ‘bassi’. Ne approfittò invece Louis-Jean Desprez che, a rischio di essere travolto da grossi maiali rincorsi dai cani in quello slargo, si soffermò a disegnare la più saporosa scena di vita del nostro Triggio settecentesco.        

Visitarono poi l’interno del duomo, pronti a svilirne l’originalità e senza trarne alcuna immagine, prevenuti come al solito: “somiglia alla chiesa di Santa Maria Maggiore in Roma”. Infine, risalendo la Via Magistrale arrivarono alla Fontana di Santa Sofia davanti al muro che contornava l’orto abbaziale poi diventato l’attuale piazza. E ne hanno tramandato l’ampio scenario circostante, con un conciatore di pelli, una famiglia intenta a un déjeuner sur l’herbe, bambini che mangiucchiano e donne affaccendate ad attingere acqua.   

Più avanti, prima di tornare in albergo, diedero un’occhiata al Monumentino antistante la Rocca dei Rettori, “due pezzi di marmo posti uno sull’altro a far da piedistallo per un brutto leone”. Il Saint-Non definisce il Castello semplicemente prison, un carcere, trascurandone la valenza architettonica e storica. Ma, forse sapeva che era stato costruito ai primi del Trecento durante la cattività avignonese dei papi, per cui, quando si rimise in viaggio paragonò Benevento proprio ad Avignone, entrambe città di vizi: “Finalmente lasciammo Benevento, oggi più popolata che ricca, e più indolente e viziosa di Avignone. Uscimmo dalla città ognuno su un cavallo scheletrico, seguito da un mulo ancor più magro, che portava i nostri bagagli. Due guide ci precedevano alla testa del convoglio, e fummo inseguiti per lungo tempo da tutte le canaglie della città, che non avendo di meglio da fare si erano affollate nel cortile della locanda per intromettersi nei fatti nostri e confabulare in segreto con quelli che ci avevano noleggiato i cavalli”…

ELIO GALASSO