Un medico più umano e meno manager Cultura

L’associazione Mogli dei Medici chiama Aldo Pagni a trattare il delicato tema dei rapporti medici – pazienti. Il medico “di una volta” non c’è più ma alcuni valori vanno recuperati. E’ possibile conciliare il dovere del medico che si estrinseca da sempre preminentemente nella cura del paziente posto al centro del suo interesse, con gli obblighi aziendali che richiedono soprattutto attenzione per i profitti? E’ un interrogativo che assilla i medici, ma anche i fruitori del servizio, da quando il nostro sistema sanitario si è trasformato in “azienda”, ed è quanto è stato dibattuto nel convegno organizzato dalla sezione di Benevento dell’AMMI (Associazione Mogli Medici Italiani), in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno sociale, sulla base del tema nazionale dell’associazione “Medico manager o medico curante? O entrambe le persone nella stessa figura? L’umanizzazione in sanità come importante obiettivo da perseguire”. La presidente dell’associazione Antonella Luciani Maturi ha sottolineato l’impegno del sodalizio per le tematiche più scottanti e attuali e ha ringraziato per la collaborazione l’Ordine dei Medici di Benevento. A relazionare sul problema è stato chiamato il dott. Aldo Pagni, coordinatore nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale, che sul problema ha in varie occasioni espresso chiaramente il suo punto di vista critico nei confronti della eccessiva burocratizzazione della professione medica. Per i fautori delle recenti normative che equiparano l’assistenza sanitaria a un’azienda, la trasformazione è necessaria per migliorare la professione medica a maggiore tutela dei cittadini, pertanto il SSN deve seguire metodi, percorsi e obiettivi tipici di una qualsiasi azienda: profitto, contenimento dei costi, risultati visibili e immediati. Il medico “di una volta” aveva come obiettivo il ben curare, ben assistere, ben confortare, e il suo procedere si basava molto sulla conoscenza della condizione psicologica del paziente con cui stabiliva un rapporto di amicizia e di fiducia. Sorge ora il dubbio che la gestione manageriale non dia la possibilità di preservare tutto ciò. Il medico-manager rischia di preoccuparsi più della malattia che del malato, più dei costi che del rapporto con il paziente venendogli a mancare tempo, serenità e disponibilità d’animo. Insomma, addio umanizzazione del rapporto. Il conflitto sembrerebbe insanabile, tuttavia una terza via è sicuramente praticabile e, aggiungo, ineludibile. Al medico, che non può prescindere dal rapporto personale, il più umano possibile, con il paziente, dovrà essere consentito attraverso una formazione in armonia con i tempi, di aprirsi alle trasformazioni di una professione che va vista in un’ottica evolutiva, proiettata verso un futuro in cui le due culture dovranno coniugarsi per collaborare e non contrapporsi. D’altronde, anche il cittadino è cambiato, il malato è più attivo, più informato, vuole essere sano e bello e proprio per questo necessita di chiarimenti, di corrette interpretazioni su quanto gli viene fornito dalle innumerevoli e talvolta incontrollate fonti di informazione. Diventa fondamentale per il medico del terzo millennio saper comunicare in modo nuovo con il paziente, il quale, pertanto, dev’essere reso consapevole non solo dei suoi diritti, ma anche dei suoi doveri, a tutto vantaggio di un servizio più efficiente in cui ognuno deve fare la sua parte.
Ornella Cappella