L'olio sannita garanzia di longevità Enti

È proprio di questi giorni la notizia che l’ottimo olio del Chianti associato alla dieta mediterranea faccia sì che in quella terra vi siano gli abitanti più longevi d’Italia. Una ricerca National Institute of Aging di Bethesda (Usa), durata 15 anni, ha coinvolto 1.500 anziani di Greve e Bagno a Ripoli sottoposti a visite mediche, controlli e screening, decretando tale risultato.

La consueta poca attitudine a vendere e promozionare il nostro territorio (oggi si direbbe il “marketing territoriale”) non ha mai fatto emergere, invece, che anche alcune zone del nostro Sannio possono vantare lo stesso risultato in termini di vita attesa e di qualità della vita che sono i medesimi del Chianti, e che la genuinità degli oli e vini locali non hanno nulla da invidiare a quelli toscani.

Pago Veiano è un piccolo ed ubertoso centro a 18 km dal capoluogo che nel corso dei secoli ha fatto registrare un’aspettativa di vita molto alta, legata alla posizione collinare, ai vantaggi dell’aria pura ed alla genuinità, proprio, del suo olio di oliva. Però, mentre nel vicino comune di Molinara hanno avuto l’accortezza di organizzare eventi e rassegne sull’olio e di consorziarsi tra produttori, a Pago Veiano, territorio di infinite piante d’ulivo, la produzione è continuata negli anni senza grosse pretese organizzative, ma sempre e solo puntando alla genuinità e qualità del prodotto che arrivava sulle tavole dei cittadini. Forse perdendo di vista le possibilità economiche e di turismo legate al prodotto, e quindi di ricaduta economica su di un paese che continua a soffrire per l’emorragia di tanti giovani che vanno altrove in cerca di lavoro, spesso non tornando più.

Una scarsità di visione politica legata ai problemi dell’agricoltura, del turismo, della comunicazione, del territorio (ma ce ne sarebbero altri) e le solite trite scaramucce, sempre scadute a livelli personali, hanno finora mancato di evidenziare quali sono le reali ricchezze di un paese che chiunque si rechi a visitare dall’esterno affascina per la bellezza dei suoi aspetti paesaggistici e naturalistici (tant’è vero che alcuni sosterrebbero anche che le colline di Pago andrebbero inserite nel patrimonio mondiale Unesco).

Insomma, che a Pago si fa l’olio buono lo sappiamo solo noi e nessuna università. Che qui si campa fino a cento anni idem.

Così, mentre in Chianti si decanta l’olio e le Langhe hanno costruito un’immagine turistica che parte dalle colline e dal vino, Pago Veiano, che non ha turismo religioso o culturale, semplicemente perché mai si sono fatte politiche in questa direzione, non ha, purtroppo, nemmeno quello enogastronomico e naturalistico, come invece potrebbe avere, se avesse anche le risorse umane per attivarlo.

Così, tra una degustazione sotto qualche stand allestito tra la piazza e corso Margherita, una sosta davanti all’epigrafe a Caio Safronio, dove giovani preparati potrebbero spiegare chi era costui, una puntatina in pullman alla Torre di Terraloggia ed a San Michele, o a Tammaro (vera goduria per gli archeologi), si potrebbe, chissà, creare quel movimento di interesse e di persone che la comunità rinchiusa in se stessa non offre, aprendosi solo, per tre giorni d’agosto, durante la festa patronale.

Un risultato piuttosto scarso, visto che, nonostante tutto il ben di Dio a disposizione per elargizione di Madre Natura, non si riesce a cogliere nessuna opportunità e neppure ad inventarsi qualcosa. Non si riesce nemmeno ad investire neppure sulla propria storia, se di tutti i palazzi storici si è fatto scempio nei decenni passati e si guarda ancora con malcelato rancore all’esistenza in piedi del fatiscente palazzo appartenuto al Senatore del Regno Nicola Polvere. Se, a parte via Caio Safronio, non vi è neppure una strada o una lapide dedicata ai personaggi illustri che questo paese ha avuto. Se non si riesce a costruire rassegne o eventi di alcun tipo, che diano lustro al passato, che spesso si è fatto finta di ignorare, qui più che in altri comuni.

Se le uniche cartoline esistenti e neppure troppo diffuse del paese risalgono come minimo a venti anni fa.

Eppure, con l’umile ma potente ulivo, la pianta cara ad Atena, quanto si potrebbe fare per Pago Veiano. Chi ci pensa?

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Perché l’ulivo è pianta cara ad Atena? La leggenda narra che il semidio Cecrope, alla fondazione della città di Atene chiese la protezione degli dei. Tra questi nacque una competizione ed allora, sotto gli auspici di Zeus, si sfidarono Poseidone, dio del mare, ed Atena, dea della saggezza.

Entrambi si disputavano la sovranità dell’Attica ed avrebbe vinto chi avesse offerto il dono più bello al suo popolo. Poseidone col suo tridente colpì una roccia facendone scaturire dell’acqua salata ed un cavallo come auspicio della dominazione sui mari.

Atena, colpendo una roccia con la sua lancia, fece nascere il primo albero di ulivo per illuminare la notte, per medicare le ferite e per nutrire la popolazione. Zeus scelse l’invenzione più pacifica ed Atene divenne la dea protettrice di Atene.

LUCIA GANGALE

l.gangale@inwind.it

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