Allarmismi e responsabilità In primo piano

Sarà perché uno tra i primi intervistati a Genova, quasi sotto il ponte crollato, era uno dei nostri (nativo di Foglianise, per la precisione), siamo tutti diventati testimoni oculari di imminenti catastrofi. Ognuno riesumando le proprie fisime.

Facile per gli amministratori beneventani l’ambizione di esibire anche loro un Morandi. Non un quadro, ma proprio un ponte di cemento armato precompresso come quello di Genova seppure senza le bretelle progettato dall’omonimo del pittore. E per non farci mancare niente abbiamo subito esibito anche il ponte di contrada Epitaffio, di autore ignoto (forse neanche un geometra). Chiuso al traffico, sbarrato al transito pure pedonale. E se, poniamo, un abitante della contrada rispetta il divieto e il fiumiciattolo lo attraverso a piedi nudi e arriva un'onda di piena, chi paga?

Perché tutta questa cacarella amministrativa è scappata proprio pensando ad un dover pagare. Quale migliore precauzione che tenere chiuso tutto e far trovare tutto chiuso quando arriva il pericolo?

Dal ponticello di Epitaffio, se pure crolla, non precipita nel vuoto nessun camion o pullman o traino. Se proprio dovesse decidere di afflosciarsi, una modesta utilitaria farebbe un balzo di un metro e mezzo, il corrispettivo di una buca presa sulla Telese-Caianello alla velocità di 80 all’ora certificata dal Comune di Torrecuso.

Che dite? Il ponticello di Epitaffio è stato tirato in ballo per distrarre l’attenzione da altri obiettivi? No, perché noi abbiamo un Morandi originale, cioè un ponte progettato dallo stesso autore di quello crollato a Genova. Per il quale ci si era peritati di verificare la stabilità delle fondazioni (così si disse) dopo l’alluvione del 15 ottobre 2015, che aveva fatto “entrare” nel torrente San Nicola l’eccedenza di portata del fiume Calore in quel di Ponticelli. Al termine di certi lavori, ordinati sotto il sindaco Pepe, fu spillata dal team Mastella una bottiglia di spumante, con tanto di TV7 che non evitava di inquadrare un pezzo di marciapiede incartato colla carta bianca e rossa dei lavori non finiti. Ma riguardavano i marciapiedi, il che ci conferma che lo spumante era per il ponte.

Giustamente viene il dubbio adesso che non fosse stata fatta una diagnosi accurata l’altra volta. Pure noi ci eravamo permessi di ammonire ad avere un po’ di soggezione nei confronti di un ponte firmato Morandi.

Il sindaco Mastella non ha nessuna intenzione di essere coinvolto in responsabilità per crolli e omessi controlli. Il fatto è che non è in commercio un vaccino che metta al sicuro da certe responsabilità. Non solo i sindaci, si badi bene.

A voler cogliere la serietà della situazione, bisogna partire dalle responsabilità di ognuno rispetto a beni materiali soggetti alle insidie di fenomeni naturali che sono pane quotidiano: terremoti, alluvioni, frane, fulmini, fughe di gas, incendi. Per le conseguenze di fatti come quelli richiamati ci sono le responsabilità dei sindaci? E quelle di ciascuno di noi: amministratori di condominio, proprietari di fabbricati, utenti di spazi pubblici, concessori di spazi ed edifici privati?

Certo, cercare di scansare la responsabilità sopprimendo bisogni e servizio pubblici non è proprio quello che si richiede ad un amministratore di beni e bisogni collettivi. Anche un allarme ingiustificato soggiace a pericolose interferenze giudiziarie.

Una iniziativa forte e coraggiosa deve essere una accurata lettura della situazione. Da parte di tutti. Benevento ha visto all’opera specialisti del cemento armato. Alla luce delle normative più recenti, tutti gli edifici con almeno cinquant’anni sono a rischio. Allora bisogna chiuderli, farli sgombrare, abbatterli? Certamente no, non è possibile.

Sto parlando di opere sicure secondo le leggi del tempo in cui furono costruite ma che hanno bisogno di manutenzione e di interventi di rinforzo strutturale: tutta l’edilizia di fine ‘800 e del ‘900. Edifici scolastici, chiese, ospedali, palazzi per civili abitazioni, impianti sportivi. Opere sicure a norma di legge ma soggette all’imponderabile.

Compito della Pubblica Amministrazione è prima di tutto la pianificazione delle emergenze. Che fare, se... E chi deve fare che.

A partire da quel che deve fare ogni singolo cittadino, nella realtà nella quale venga a trovarsi se sta a casa sua o se sta sul posto di lavoro o se si trova in un qualsiasi luogo della città.

Da un piano dettagliato di protezione civile, che deve essere responsabilmente acquisito da ogni capo famiglia, da ogni capufficio, da ogni dirigente scolastico eccetera, bisogna far discendere una corrispondente, adeguata segnaletica opportunamente posizionata alla quale debbano fare riferimento gli operatori organizzati e i cittadini in attesa di soccorso o comunque pronti ad obbedire a disposizioni tempestivamente impartite.

Si tratta, come si vede, di un’opera di profondo significato civile, che va realizzata chiamando in causa tutte le agenzie formative (scuole, sindacati, parrocchie, associazioni sportive), ma che deve partire da una radicale riconsiderazione della funzione preventiva delle funzioni pubbliche. Si tratta di realizzare una rete di comunicazione credibile e funzionale, da provare ripetutamente con esercitazioni reali (non virtuali o  tanto per fare) fino a che la loro ripetizione non induca una vera, consapevole, assuefazione.

Si ri-cominci con le esercitazioni di evacuazione delle scuole. L’esperienza ci fa venire in mente che in occasione del terremoto di San Giuliano di Puglia (che fu avvertito anche a Benevento) le scuole diedero prova della efficacia delle sperimentazioni fatte.

Anche se fosse ipotizzabile che si possa in ventiquattr’ore adeguare il mondo in cui viviamo alle normative più sofisticate, ci sarebbe sempre una quota di imponderabilità con la quale fare i conti.

Ma quando pure tutto sarà crollato, ci sarà qualcuno che è sopravvissuto e deve sapere cosa fare. E se è in grado di aiutare l’altro, deve sapere che qualcuno arriverà.

MARIO PEDICINI