Chi vince e chi perde. Ma lo scenario è nebbioso In primo piano

L’ultimo giorno di campagna elettorale era una vera invasione di fac-simile di schede elettorali. Le strade erano ricoperte di carta e si correva il rischio di scivolarci sopra. Era il materiale avanzato dal “porta al porta” per spiegare agli elettori come si doveva votare. Una crocetta sul simbolo, poi si scriveva il nome del  candidato e via proseguendo. In questa tornata elettorale l’elettore di fac-simile non ne ha visti per niente. Si è trovato al seggio con due schede elettorali e con la paura di sbagliare a votare. Tecnicamente s’intende, perché in quanto a convincimento a quale partito dare la preferenza, di dubbi non ne aveva proprio.

Chi vince queste elezioni? Meglio cominciare dai perdenti. Il Partito democratico è il vero sconfitto. Sia per la legge elettorale, il “Rosatellum bis”, che non ha portato i risultati sperati, sia soprattutto per  la mancanza esorbitante di consensi. E’ andata peggio del 1994, quando il Pds di Occhetto raggiunse il 20,36% dei voti. Non aver superato il 20% è una brutta batosta per Matteo Renzi ed i suoi. Se una consolazione il segretario del Pd in questa débâcle può avere è il tonfo degli scissionisti di Liberi e uguali. Se tutto andrà per il meglio porteranno a casa uno striminzito 3%. Nei collegi uninominali a Palermo e Milano in cui erano candidati Pietro Grasso e Laura Boldrini perdono in maniera netta.  Pure Baffino di ferro, alias Massimo D’Alema, porta a casa una sconfitta. Nel collegio di Nardò prende meno del 4%. Anche a Bologna, Vasco Ernani, fa registrare un risultato deludente.

Prima delle elezioni, vista l’aria che tirava, Renzi tenne a precisare che comunque sarebbe restato alla guida del Pd fino alla scadenza del mandato. Dopo il KO le dimissioni erano inevitabili. Alla Renzi però! Se ne andrà dopo aver provato a condizionare gli scenari governativi. Nessuna idea strana di alleanze con i vincenti. Opposizione e basta.

In tutti i modi l’ex Cavaliere si era impegnato per superare il nemico-alleato Matteo Salvini. Comparsate televisive a gogo, siparietti costruiti ad arte, promessa in caso di un voto in più sulla Lega che il presidente del Consiglio sarebbe stato Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo dal 17 gennaio 2017, creando grande imbarazzo a quest’ultimo. Niente da fare, il populismo arrabbiato di Salvini ha vinto. E il distacco tra i due è notevole. Resta la coalizione a tre tra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia che supera il 37% dei consensi.

I veri vincitori di questa tornata elettorale sono i 5Stelle con il loro 32%. Primo partito del nostro Paese. Era da tempo che Gigino Di Maio si preparava a diventare presidente del Consiglio. Revisionismo sull’Euro e sull’Europa, giri nel mondo per rassicurare, linguaggio pacato in stile democristiano. Certo, il 32% è un bel risultato. Sarebbe stato il 40% tutti i problemi di andata a Palazzo Chigi sarebbero stati risolti. Con chi si alleeranno i grillini per avere il quorum per prendersi il governo del Paese? C’è chi dice con la Lega. Gigino, diventato democristiano, sa bene che unirsi a Salvini, che in fatto d’estremismo non è secondo a nessuno, non farebbe un buon affare. Certo, alcune posizioni sono comuni, ma una cosa è stare all’opposizione un’altra è governare, ovvero rappresentare tutto il Paese. Questo ragionamento potrebbe far scattare la molla dell’esclusione della partnership con la Lega. E Berlusconi? Non è affidabile. Troppi conflitti d’interesse. Come si fa ad allearsi con un “padre-padrone” che non ha nessuna voglia di passare la mano?

La segreta speranza di Gigino è che il presidente Mattarella gli possa affidare l’incarico per la formazione di un governo, tenuto conto che il MoVimento è il primo partito del Paese. Ciò gli consentirebbe di poter portare dalla sua parte qualche realtà politica che condivide - anche opportunisticamente - i temi base del programma Cinquestelle.

Difficile, dopo il ridimensionamento di Forza Italia, che Berlusconi continui ad ipotizzare un governo con Salvini e Meloni. Troppo presto per il momento fare ipotesi. Lo scenario si comincerà a chiarire all’atto dell’elezioni dei presidenti di Camera e Senato. Da quelle votazioni si potrà cominciare ad ipotizzare gli scenari futuri che, comunque, non comprendono lo scioglimento anticipato delle Camere. Questo pare proprio un punto fisso. Andare tutti a casa non conviene certo ai perdenti: Pd, Leu, Fi. Bisogna riorganizzarsi, rafforzarsi per ritornare alle urne.

ELIA FIORILLO