Cinghiali - Confagricoltura: dall'emergenza alla gestione ordinaria si arriva con il coinvolgimento degli agricoltori In primo piano

La presenza dei cinghiali nel territorio della provincia di Benevento ha prodotto in tre anni, tra il 2013 ed il 2015 qualcosa come 292 eventi che hanno comportato danni per le aziende agricole, con una richiesta di indennizzi valutabile dai 350mila ai 400mila euro. Contro questa emergenza non bastano 600 cacciatori, 100 dei quali formati, e i 905 abbattimenti effettuati nel 2016. E considerato che una scrofa di cinghiale dei Carpazi, specie che si è ormai di fatto sostituita al cinghiale italico, ha una capacità riproduttivi da 12 piccoli a parto, in mancanza di un contenimento adeguato della specie il rischio che le aree coinvolte e i danni possano aumentare è più che concreto. E - secondo Confagricoltura - solo un più forte coinvolgimento degli agricoltori nel Piano d’azione regionale per contrastare l’emergenza cinghiali può ricondurre la situazione in equilibrio: trasformando la presenza di questi ungulati in una possibile forma di reddito per l’imprenditore agricolo. A fronte di questo un mercato, l’Italia, che importa 50 milioni di euro di selvaggina dall’estero, mentre si fatica a gestire il selvatico locale.

E’ tutto quanto emerso questa mattina durante il convegno Emergenza Cinghiali - Presentazione del Piano d'Azione regionale.  Dalla soluzione di un problema un'opportunità per l'agricoltura sannita, organizzato da Confagricoltura Benevento, tenutosi ieri - 23 settembre 2017 - nella Sala Convegni della Fiera di Morcone, nel quadro della iniziative che animano la manifestazione.

Nel corso dell’incontro è stato presentato il Piano d’azione della Regione Campania, che anche in provincia di Benevento dovrà essere attuato per contenere la popolazione di cinghiale con il selecontrollo, al fine di ridurre i danni e diventare - con le “case di caccia” - una risorsa per gli agricoltori del Sannio, che potranno valorizzarne le carni, una volta sottoposte ai controlli sanitari di legge.

Dopo i saluti  di Francesco Fiore, commissario di Confagricoltura Benevento, ha preso la parola Vincenzo Caputo, direttore del Centro regionale di riferimento per l’Igiene urbana veterinaria della Regione Campania, che ha illustrato  il piano nelle sue linee essenziali. “A Benevento abbiamo già 100 cacciatori formati, che potranno dare un contributo importante per uscire dall’emergenza e, in un anno, tornare alla gestione ordinaria del cinghiale - ha detto il veterinario, che ha ricordato - rispetto al cinghiale italico, con scrofe che potevano dare non più di tre piccoli a parto, oggi ci imbattiamo nel cinghiale dei Carpazi, che si riproduce al ritmo di 12 piccoli a parto, cosa che, in mancanza di antagonisti naturali, porta la popolazione complessiva ben oltre i tre capi per chilometro quadrato, che resta l’obiettivo al quale va riportata la presenza di questo ungulato” .

Snodo fondamentale per attuare il piano sono le così dette “case di caccia” luoghi attrezzati nei quali le squadre di cacciatori devono portare gli animali uccisi per le preventive operazioni di scuoiamento e ispezione da parte dei veterinari, che debbono accertare l’eventuale sospetta presenza di Trichinosi, una zoonosi molto pericolosa per l’uomo. Gli agricoltori possono realizzarle e per questo la normativa regionale sulla caccia prevede incentivi pari a 500mila euro. “Nel 2016 sono stati effettuati in Campania 9202 controlli per la Trichinosi a cura dell’Istituto zooprofilattico sperimentale per il Mezzogiorno - ha ricordato Caputo - numeri che portano la regione tra quelle che effettuano maggiori in controlli su questa tipologia di selvaggina in Italia.” Una selvaggina sicura, rispetto alla quale il mercato c’è.

Danila Carlucci, del Coordinamento dei Servizi veterinari della Asl di Benevento - Area B, ha esposto le opportunità che il mercato offre ad una filiera della carne di cinghiale: “Innanzitutto è bene che la casa di caccia sia registrata, in modo che possa avere accesso ai finanziamenti regionali e possa essere la sede da dove il cacciatore o l’agricoltore parta con animali già sicuri sul piano sanitario - ha ricordato - al momento ne è attiva una soltanto e altre cinque sono in corso di autorizzazione, ma il vero problema ad oggi è la mancanza di un Centro per la lavorazione delle carni di selvaggina in provincia di Benevento, dove si sono per ora abbattuti solo 905 cinghiali nell’ultimo anno, mentre un centro di lavorazione, per avere i conti in equilibrio deve lavorarne almeno 2.500”.

Carlo Coduti, responsabile provinciale della misura 6.4.1 “Creazione e sviluppo della diversificazione delle imprese agricole” del Programma di sviluppo rurale Campania 2014/2020 “Questa misura - ha detto - viene spesso interpretata come quella per finanziare l’agriturismo, in realtà può offrire anche altre opportunità e sulla finanziabilità delle case di caccia va fatto un approfondimento, anche se, vale la pena ricordarlo, la 6.4.1 finanzia tutti i servizi e le attività di impresa che non siano qualificati dall’Unione europea come attività agricola”. Sull’ultimo bando della misura 4.4.1, che rifonde i danni da fauna selvatica, da Benevento sono partite ben 78 domande.

Marco Balzano, responsabile del “Servizio Territoriale Provinciale” di Benevento presso la Direzione Generale per le politiche Agricole, Alimentari e Forestali della Regione Campania ha invece fatto il punto sulla prossima apertura della caccia: “In vista del 1° ottobre, contiamo di lanciare un secondo bando per assegnare anche altre due aree di caccia alle squadre, per coprirne nel complesso 24 sulle 25 inizialmente previste, che - per almeno 22 siti - coincidono con le aree calde, dove la presenza del cinghiale ha comportato danni rilevanti a colture”.

Ha concluso l’incontro Franco Postorino, direttore organizzativo nazionale di Confagricoltura che ha osservato: “L’Italia importa 50 milioni di euro di selvaggina dall’estero, un danno per la nostra economia, perché il controllo degli ungulati ed in particola dei cinghiali offre l’opportunità di produrre reddito, a patto di poter disporre di una filiera controllata, con un marchio di qualità”.

Postorino, infine, nell’osservare che “Il piano della Campania è un buon punto di partenza” ha anche detto: “Confagricoltura sostiene che la riuscita del piano è legata ad un maggiore coinvolgimento dell’agricoltore nella gestione dell’attività di prelievo”.