Crisi delle castagne In primo piano

Ogni mese, come ogni stagione, ha il suo miracolo da ricordare. A mente, e con riguardo ai fatti di natura, ricordo il celeberrimo miracolo delle noci, che fra Galdino amabilmente racconta. Ma siamo in ottobre, in pieno autunno, e il prossimo 2 novembre, soprattutto negli oratori salesiani, si ricorderà il miracolo delle castagne con la loro tradizionale distribuzione. Già, perché l’autore fu san Giovanni Bosco e il miracolo, per le sue dinamiche, ricorda quello dei pani e dei pesci. Alla fine ci fu abbondanza, e i ragazzi dell’oratorio mangiarono castagne lesse a sazietà.

Di sicuro quest’anno ne saranno distribuite di meno, giusto per ricordare e testimoniare il miracolo. Il raccolto è letteralmente crollato, si stima addirittura dell’80/90%, in tutto il meridione e soprattutto in Campania, storica regione attestatasi negli anni scorsi ai primi posti riguardo alla produzione. Di sagre se ne continuano a fare, ma questa è un’altra storia, anche se viene il dubbio che il prodotto non rientri per intero nelle tipicità locali, ma non stiamo certo a sofisticare. Il monte bianco, il castagnaccio e i marron glacè comunque li mangeremo. In ogni caso la Coldiretti chiede più intense verifiche sull’origine delle castagne utilizzate nel nostro paese (spesso si trovano prodotti di Portogallo, Spagna ed Albania spacciati per nostrani) e raccomanda ai consumatori di preferire l’acquisto presso i mercati di Campagna amica, dove c’è la presenza costante di agricoltori locali. Lo scorso anno sono stati importati oltre trenta milioni di chili di castagne.

Altra possibilità potrebbe essere quella di chiedere ai proprietari castanicoltori di poter partecipare alla raccolta, mettendo in preventivo tra l’altro una bella giornata da trascorrere nei secolari boschi di castagni. La previsione della percentuale del crollo proviene proprio da un’analisi della Coldiretti, avviata con l’inizio della campagna di raccolta, ed è abbastanza circostanziata sia riguardo alla quantità sia alla ripartizione della scarsità di frutto sul territorio. Emerge con evidenza che la crisi, tra alti e bassi negli ultimi anni, è da considerarsi ormai endemica. In primo luogo perché il cinipide galligeno, il parassita di origine cinese che determina la distruzione degli alberi di castagno, non si riesce a debellare. Il motivo è da ricercare nel clima, dove tra periodi di siccità e di intense giornate di pioggia manca il necessario equilibrio, ma anche nella presenza recente sul territorio del parassita, che non ha consentito la necessaria sperimentazione. Altrove, infatti, con il lancio del Torymus sinensis, il nemico parassitoide del cinipide, si è adottato, con soddisfacenti risultati, il sistema della lotta biologica, che permette di tutelare l’ambiente e favorire l’equilibrio ecologico. La qualità appare comunque buona, in talune aree ottima.

Si può dire che la storia delle castagne cammini di pari passo con quella dell’Italia. In molte regioni, dove l’alta collina e la montagna la fanno da padrone, i boschi di castagno, oltre ai frutti, garantiscono sia il legno sia la possibilità di godere il paesaggio, senza tralasciare l’opportunità di cercar funghi, di osservare selvaggina e d’assaggiare, in qualche agriturismo, il miele ambrato in accompagno a locali formaggi stagionati.

Come al solito, in circostanze di criticità come questa, la politica non sa cosa fare. Le regioni dovrebbero aver redatto un Piano agricolo-forestale, che è lo strumento necessario per attivare le strategie nei due comparti di riferimento; sono piani di erogazioni finanziarie, che riguardano soprattutto promozione e valorizzazione delle produzioni locali, sostenuti economicamente sia dalle regioni sia dallo stato. La Campania in particolare ha prodotti castagnicoli d’eccellenza, e le aree irpine interessate come il Partenio, il territorio di Serino, quello di Montella, ma anche altre zone ugualmente vocate ma meno conosciute del Sannio beneventano e del casertano, risentono di questa rovina, che è sì di tipo economico-finanziario ma tocca anche gli usi e gli utilizzi quotidiani della castagna e dei suoi derivati.

Le soluzioni, a fronte di ritardi endemici e tentativi inconsistenti, dovrebbero essere ben più specifiche e sinergiche. Come diversa dovrebbe essere la tipologia del castagneto, da non considerare solo come bosco ma, con le tante unità lavorative occupate, alla stessa stregua delle altre aree agricole e più in generale dei frutteti; quindi risorsa economica e non solo forestale, spesso indicata quasi esclusivamente per l’apporto per la difesa dell’ambiente dal punto di vista idrogeologico. E la parola passa, di conseguenza, alle regioni e ai ministeri interessati.

UBALDO ARGENIO

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