Il semaforo a 150 metri In primo piano

Il semaforo a 150 metri? E’ una rarissima tabella del tipo, e pure il beneventano aduso a tutto osservare resta interdetto. Il semaforo da queste parti, vicino all’Ospedale Rummo?

L’incredulo, come San Tommaso, ci deve mettere la mano. Avanza circospetto ed ecco il semaforo, anzi i semafori (4 o 5 o 6?). Sono malridotti, scassati e i fili elettrici portati via, ma si nota che avevano il dispositivo per i ciechi, con tanto di cicalino, ormai muto.

E la mente va a quel prodigioso pomeriggio del 2006. Fausto Pepe aveva vinto le elezioni (secondo i giubilanti era stata una liberazione dai fascisti Viespoli e D’Alessandro), gli assessori non vedevano l’ora di far vedere di che pasta fossero fatti.

Uno, in particolare, sembrò inarrestabile. Di cognome faceva Guerra, in politica fu un lampo. Benevento doveva riprendere l’antico splendore di città di semafori ( ‘Ntonio u’ pulimmo, sotto il semaforo di piazza Roma che dava giallo lampeggiante e lui fiero cittadino osservante: “E’ inutile ca me zennìe, io a’ ccà nun passo”). Congegni di ultima generazione che davano luce ai cecati e dovevano stabilire equanimi turni per chi era abituato a spadroneggiare su via Pacevecchia e i poveri cristi provenienti dalla salita tra le palazzine di Sabatino (non per niente venivano dalla vallata del Sabato).

Quel pomeriggio, che doveva portare alla ribalta della cronaca l’assessore Guerra, fece delirare gli automobilisti. L’ingorgo fu tale che, dopo un paio d’ore, i semafori vennero spenti. E mai più riaccesi.

Né si potrà più dare colpa all’assessore Guerra, costretto a precipitosa fuga tanto che non gli fu consentito di salutare il sindaco, al quale raccomandare, caso mai, di fare un dono eclatante all’Africa, al tempo in rapida ascesa economica.

MARIO PEDICINI

Altre immagini