La barzelletta triste dell'Amts In primo piano

L’azienda municipale dei trasporti urbani (AMTS) è un classico esempio di marchingegni istituzionali, figli dell'età della spensieratezza che se ne inventò una più del diavolo per mistificare la realtà e, allo stesso tempo, assegnare poltrone e prebende.

In parole semplici, ci fu un tempo nel quale il Tribunale di Benevento pensò di trovarsi di fronte ad un fallimento. La Corte d’Appello di Napoli ritenne che il giudice beneventano avesse esagerato. E’ di questi giorni la notizia che anche la Corte di Cassazione, dando ragione alla Corte d’Appello, ha sconfessato il giudice fallimentare.

Più che comprensibili i sospiri di sollievo di quelli che, in base ad un fallimento dichiarato dal giudice, avevano da temere qualche possibile ripercussione. Umanamente li comprendiamo, ma li abbiamo aspramente criticati quando poco o nulla facevano per far funzionare il servizio degli autobus urbani e renderne sostenibile il costo di gestione presso il contribuente concittadino.

Meno comprensibili le esternazioni degli amministratori che di quella gestione (fallimento o non fallimento) sono indubbiamente responsabili: i dirigenti, il consiglio di amministrazione e l’assemblea dei soci. Non a caso, mentre scriviamo non s'è sentita la voce di Fausto Pepe, che difese la sopravvivenza dell’azienda a tutela delle posizioni di amministratori e dipendenti, fidando in una possibile risalita della redditività.

La matassa sarà sbrogliata come vogliono legge e buon senso. Resta un dubbio di fondo. Ma si può andare avanti con la barzelletta triste delle società in house?

L’AMTS, così come l’ASIA, sono a tutti gli effetti società per azioni (di qui la competenza del giudice civile e non del Tribunale Amministrativo), ma gli azionisti sono paradossalmente uno solo. Un plurale che diventa singolare. Tutte le azioni sono possedute dal Comune. E quando si riunisce l’assemblea dei soci non è possibile vedere all’opera una maggioranza e una minoranza, o c’è l’assemblea totalitaria o non c’è nessuno. L’assemblea è costituita dal sindaco. Ma il sindaco in quanto finto possessore della totalità delle azioni o in quanto capo del consiglio comunale? Nel secondo caso, infatti, rappresenta una volontà collegiale, che si forma secondo le regole amministrative, sia pure sulla base di una delibera “bollinata” da un parere del collegio dei revisori dei conti. I consiglieri comunali (e il sindaco) non sono responsabili dei contenuti della delibera (tanto per dire, della correttezza dei conti o della completezza della documentazione allegata).

Ma il sindaco in assemblea che si attenga al deliberato del consiglio comunale di che cosa sarà mai responsabile?

Il sindaco vestito da assemblea ha votato in un certo modo. Amministratori e dirigenti dell’AMTS avevano sì o no il dovere di adempiere ed eseguire? Chi, al di sopra, dell’assemblea era legittimato a rivolgersi al giudice (visto che la Costituzione afferma che qualsiasi atto amministrativo è sindacabile da un organo giurisdizionale)?

Una volta giunti davanti ad un giudice, e questi rileva la fondatezza di una domanda e di un danno da quantificare e risarcire, in un guazzabuglio del genere chi paga?

L’assemblea dei soci all’uopo convocata (e sempre all’uopo resuscitata) potrà accertare che in società non c’è una lira? Perché mai, giunti a questo punto del ragionamento, a pagare dovrebbero essere i contribuenti?

AMTS è un organismo a se stante, con una propria personalità giuridica, che non può morire come una qualunque società per azioni ma può risorgere come un’araba fenice, succhiando sangue ad una ristretta cerchia di “soci sostenitori” della festa delle tasse.

MARIO PEDICINI