La consapevolezza del fallimento In primo piano

Il titolo dell’ultimo libro di Raffaele La Capria, “Il fallimento della consapevolezza”, scritto con invidiabile lucidità alla bellezza di 96 anni, non esce più dalla mia testa.

Per qualche inspiegabile meccanismo, però, la mente continua a darne una lettura invertita in “La consapevolezza del fallimento”; forse perché questo titolo sintetizza bene la sensazione che stiamo vivendo.

Sembra di essere i nuovi testimoni della caduta dell’impero romano, aspettando solo che Romolo Augustolo venga deposto da Odoacre.

Crollano i pezzi della società italiana fino ad eroderne le fondamenta. La famiglia, la scuola, la sanità, la giustizia, l’industria, l’artigianato, il commercio, le professioni.

Ognuno aspetta l’inevitabile epilogo come spettatore di un film, come se la questione non lo riguardi.

Nella consapevolezza che non c’ha putimm fa viviamo un effimero carpe diem, coltivando i peggiori sentimenti ed istinti, cambiando le regole come camicie e lavando l’etica nella varichina dell’indifferenza, in modo da avere sempre una coscienza che più bianca non si può.

Eppure leggendo il bel libro di La Capria si scopre ancora un mondo in pieno fermento di idee e di speranza. Un mondo del fare, del confrontarsi; specialmente dello scrivere.

“Il lavoro dello scrittore, ho già detto - e ne ho parlato proprio in Letteratura e salti mortali -, è paragonabile all’esecuzione di un tuffo. Un tuffo è un tour de force rapido e concentrato che deve essere eseguito senza uno sforzo apparente: richiede partenza alta, perfezione nell’aria e un’entrata in acqua, cioè una conclusione, precisa e concisa. E questa mi sembra una buona definizione della letteratura, quella che credo sia possibile oggi praticare, quella che sfugge alla testa della Medusa che pietrifica chi la fissa”.

E’ incredibile come un uomo di 96 anni possa avere molta più vitalità di tantissimi suoi simili più giovani, ridotti oramai a forme vegetali di vita annegata nell’apatia e nella rassegnazione.

Bisogna tornare a piantare i semi della lettura, arando gli incolti campi della gioventù, per far sì che possano di nuovo germogliare i frutti del conoscere, del rispetto, del dialogo e del confronto.

E’ un difficile lavoro di dissodamento del terreno umano, oramai arido ed indurito dalla gramigna dell’apparenza, che ha necessità di esperti agricoltori dell’anima, adusi ad una dura fatica quotidiana spesso avversata dalle intemperie della superficialità, i quali sanno come stimolare quella curiosità che è la molla che muove il mondo.

Perché, come dice La Capria, ritorni “la convinzione che tra cielo e terra ci siano più cose di quante un uomo riesca a immaginare”.

UGO CAMPESE