L'architetto Prestinenza Puglisi alle Soprintendenze: 'Conservando ogni cosa si creano solo accumuli di volumi inservibili' In primo piano

Si e' svolto ieri pomeriggio, venerdi' 2 ottobre 2015, presso la sala conferenze del Palazzo Paolo V, il convegno organizzato dall'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della Provincia di Benevento dal titolo “Paura di volare - Il restauro leggero degli edifici per la cultura”.

Davanti ad un folto ed attento pubblico ha introdotto i lavori il presidente dell’ordine, l'architetto Michele Orsillo, salutando il relatore Luigi Prestinenza Puglisi, architetto, saggista e critico, docente di Storia dell’architettura contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma, e Raffaele Del Vecchio, assessore alla cultura della città di Benevento. Nella presentazione non s’è perduta l’opportunità di salutare anche l’assenza della Soprintendenza Bapsae di Caserta e Benevento e di quella archeologica competente per la Provincia di Benevento.

L’esordio del relatore è stato scoppiettante: “Sono contento che non siano intervenute le Soprintendenze - ha esordito -. E sono altrettanto contento che non ci siano, almeno lo spero, nemmeno gli ambientalisti. Ai giovani architetti dovrebbe essere imposto, prima di iniziare l’attività professionale, una sorta di giuramento di Ippocrate, e cioè aborrire Soprintendenze ed ambientalisti”.

E’ ovvio che è stato un avvio ad effetto, come è altrettanto ovvio che il relatore non pensa nemmeno lontanamente che debbano sparire, come per incanto sia le Soprintendenze sia gli ambientalisti. Solo che necessita una forte revisione sui compiti e sulle ingerenze.

Il loro attuale compito, secondo il relatore, è stato solo quello di presepizzare l’esistente, il territorio. La tutela, nelle sue varie forme è importante, ma non è necessario il ricorso alla camicia di forza. E’ un dato di fatto che tutela dei centri storici ed attrazione turistico-culturale non sono sinonimi: i flussi turistici preferiscono, in generale, i dinamismi e le bellezze di Barcellona e di Amsterdam, tanto per intenderci. In Italia le città storiche sono tutelate con una sorta di ossessione: ma è un assillo che attanaglia solo i centri storici mentre, al contrario, le periferie delle stesse sono abbandonate all’anonimato e all’imbarbarimento, in tutte le sue sfaccettature.

Ma davvero tutto è storia e ogni cosa ha necessità di essere conservata? Le statue di Marx e Lenin si conservano, ma sembrano, parlando con rispetto, delle mummie. Anche il Louvre e il museo d’Orsay sono stati mummificati, se vogliamo con interventi che rasentano il ridicolo, ma hanno una caratterizzazione diversa da quelli italiani. In Francia non esistono file chilometriche, e ciò significa che i visitatori, in una giornata, sono molti di più di quelli che frequentano i musei nostrani.

Probabilmente il fine degli interventi, altrove, è anche finalizzato ad ottenere maggiori benefici pur utilizzando i medesimi costi. Sembra che da noi si dia esclusiva importanza a spendere i soldi stanziati ed utilizzati. Ma le cose dovrebbero funzionare in maniera completamente diversa. Ciò che manca, da noi, a parte la farraginosità nelle normative, è una strategia che indirizzi i lavori, a lungo termine, stabilendo a priori gli usi a cui sono destinato i manufatti da recuperare.

Due sono i capisaldi, non ci sono magie: la velocità delle decisioni, dei progetti, delle realizzazioni e la consapevolezza che gli interventi non devono necessariamente essere esaustivi, secondo delle idee ermetiche di completezza. La vita c’insegna che col tempo cambiano i gusti, le circostanze, ed anche i lavori di recupero dovrebbero avere questo approccio, cioè modellarsi, con un dinamismo insito nell’intervento, alle necessità dei tempi. I nostri centri storici appaiono come delle facce cariate, immobili ed abbandonati a se stessi. E questo, anche e soprattutto, ma senza astio, alle ingerenze delle soprintendenze.

Gli interventi quasi mai sono allineati alle effettive necessità, e ciò in gloria di un presunto passato da conservare. Senza considerare i tempi di realizzazione, perché quelli necessari per i restauri sono estremamente più lunghi di quelli occorrenti per l’edilizia ordinaria. E’ necessario trovare modi leggeri per conservare i beni ma con caratteristiche di reversibilità: interventi veloci, ma senza banalizzare l’operato, reversibili, intelligenti e che attivino effetti economici. Perciò è indispensabile adottare una strategia dell’uso, senza l’ossessione di ricostruire il passato.

Da noi, conservando ogni cosa, si creano solo accumuli di volumi inservibili, che oltretutto gravano sui contribuente per gli alti costi di gestione, pur in presenza di sottoutilizzo dei beni medesimi. Ecco dunque il lavoro per l’architetto che si approccia al restauro: creazione di forme intelligenti, utilizzo di tecnologie leggere ed impalpabili, anche con l’uso delle moderne tecniche di progettazione.

L’assessore Del Vecchio, elogiando l’operato dell’Ordine degli architetti, che pone sul tappeto, in ogni evento organizzato, problematiche brillanti ed attuali, ha esordito lamentando l’ irragionevolezza del continuo uso dei bandi e il ricorso all’accelerazione della spesa per l’esecuzione dei lavori pubblici.

Servono progetti e concorsi di progettazione - ha proseguito - modificando radicalmente l’approccio ai finanziamenti pubblici. Con i bandi i tempi sono stretti e di conseguenza anche le progettazioni sono arrangiate. Diventa quindi necessario sottoporre a finanziamento progetti mirati, strategicamente validi, che incidano in maniera intelligente sul territorio. Ha spiegato poi l’interessante percorso che segue Benevento con l’iniziativa di una Cultura in movimento, in considerazione dell’importante collocazione che ha assunto la città come sito Unesco”.

E’ seguito un vivace dibattito con l’intervento, tra gli altri, del presidente dell’Ordine degli architetti di Avellino, l'architetto Fulvio Fraternale.

UBALDO ARGENIO

Nella foto, da sinistra, Michele Orsillo, Luigi Prestinenza Puglisi e Raffaele Del Vecchio

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