Le elezioni nel Sannio alla fine dell'Ottocento In primo piano

Ad elezioni appena concluse e che hanno determinato scenari politici complessi, è quanto mai suggestivo fare un tuffo nel passato, a circa centotrenta anni fa, quando si votava per censo, ovvero con una partecipazione assai ridotta in base alla legge elettorale politica del 17 dicembre 1860 che, come condizioni per essere ammessi al voto, prevedeva l’essere cittadino italiano o naturalizzato e godere dei diritti civili e politici, avere venticinque anni compiuti di età, saper leggere e scrivere, e pagare un annuo censo per imposte dirette di almeno 40 lire benché, indipendentemente dal censo, fossero ammessi al voto pure coloro che possedevano certi titoli di capacità o esercitavano determinate professioni, privilegio poi esteso anche ad altre categorie e ai militari in congedo.

Nel 1881, infatti, il Parlamento approvò l'estensione del diritto di voto che tuttavia, se da una parte comprese pure la media borghesia ed abbassò il limite d'età a ventuno anni, dall’altra continuò a considerarlo funzione civile nell’esclusivo interesse della nazione o dello Stato, e dunque conferito solo a coloro che fossero nelle condizioni di poterlo proficuamente esercitare.

Per effetto di tali normative, il numero di elettori restò dunque ancora alquanto ristretto, così come ben poco cambiò dopo il varo della legge 583 del 1882 - meglio nota come Legge Coppino - che rese obbligatorio il primo biennio di scuola elementare e, in attesa dei suoi effetti e in virtù dell’articolo 100, ammise comunque al voto, coloro che dimostrassero di saper leggere e scrivere indipendentemente dal titolo di studio conseguito.

Un quadro di questo contesto socio-politico nel Sannio si può ricostruire attraverso un antico documento databile presumibilmente al 1890, anno in cui nel mese di novembre si tennero le elezioni per la XVII Legislatura, e nel quale è riportato l’intero corpus elettorale di San Marco dei Cavoti, comune fortorino che all’epoca era amministrato dal Cavalier Federico Jelardi (sindaco dal 1877 al 1898) e contava circa cinquemila abitanti, ma dove solo 383 di essi godevano del diritto di voto.

In questa Lista elettorale politica scritta interamente a mano, infatti, figurano di ciascun elettore nome, cognome e paternità, il soprannome, la data di nascita e la “qualità conferente il diritto elettorale” che atteneva al censo, alla professione o all’aver già ricoperto incarichi amministrativi comunali per oltre un anno, mentre in alcuni casi era legata alla qualifica di soldato in congedo o alla dichiarazione di essere alfabetizzato e dunque  beneficiario della deroga prevista dall’articolo 100.

I sammarchesi che votavano per censo erano: ANGELINO Giovanni (zingaro), ASSINI Luigi, BALDINI Pasquale, BARRICELLI Antonio, BISOGNO Giuseppe, BORRILLO Antonio (sorgillo) e Rosario, CARPINELLI Diodoro (sidoro), Diodoro (voccacci) e Michele, CASCIANO Pellegrino, CAVOTO Matteo, CETOLA Pasquale, CIARAMELLA Vincenzo, COCCA Giorgio, Pasquale (nzerra) e Pasquale (cincione), COLARUSSO Pasquale e Pellegrino,  CONNO (DE) Giovanni, Matteo e Michelantonio, CORSO (DE) Michelangelo (cotturello), COSTANTINI Antonio (pasqualuni), Nicola, Pasquale (pasqualuni), Rocco e Vincenzo, COSTANZO Antonio (pistone) e Diodoro, FERRARO Diodoro (nevaiuolo) e Pasquale (sciarri), GAGLIARDE Diodoro (tolli), GIAMEI Guglielmo, GIAMPIETRO Michele, IACCOCCA Pellegrino,  IALEGGIO Angelantonio (bibiana), Diodoro (fornaro), Giuseppe, Pasquale (fornaro) e Pellegrino (capozziello), JANSITI Domenico e Michele, JELARDI Federico, Ferdinando e Giovanni, IELARDI Giovanni (cussandro) e Nicolangelo, LEONARDIS (DE) Giovanni, Giuseppe, Nicola e Pietro, MARZULLO Angelomaria (trabante), Giovanni (canonico), Pellegrino e Vincenzo (lupriani), PALUMBO Nicola e Vincenzo, PANAGGIO Diodoro, PASTORE Antonio, Diodoro e Nicola. PIETRAFESA Angelo (gallioto), e Marco, PITEO Giambattista, RAIMONDO Francesco, RICCI Antonio, Carlantonio, Diodoro, Francesco, Giovanni, Nicola (minicoricci) e Pasquale, ROSSI Angelantonio e Luigi, ROTOLO Raffaele, SORIANO Nicola e Tommaso (puttanelli), TOMASELLI Giuseppe, TREMONTE Angelo (potecarelli) e Michele, VALENTE Giuseppe (nirone), VISTA (LA) Angelo (annantonia), VITALE Michele, VORRASI Francescantonio, ZACCARI Gennaro, ZUPPA Diodoro (miuli), Domenico (miuli), Giuseppe (sgherri) e Michelangelo, ZURLO Giovandonato.

Ammessi al voto per professione, invece, erano: AMORE (D’) Generoso (già Brigadiere dei R. Carabinieri), ASSINI Giuseppe (agrimensore), BORRILLO Alfonso (sacerdote), Angelo Raffaele (farmacista) e Vincenzo (già consigliere comunale), CARPINELLI Angelomaria (sacerdote), Cherubino (sacerdote) e Diodoro (già consigliere comunale), CARRERA Angelomaria (flebotomo legalmente autorizzato), CECANESE Antonio (segretario comunale patentato), CHIARA Giovanni (ufficiale postale), COCCA Francesco (maestro elementare), Giovanni (farmacista), Nicola fu Antonio (in possesso di licenza ginnasiale), Nicola fu Diodoro (maestro elementare) e Pasquale (già consigliere comunale), COLARUSSO Francesco (già consigliere comunale) e Michelangelo (agrimensore), CONNO (de’) Nicola (in possesso di licenza liceale) e Vincenzo (farmacista), FASANI Gennaro (segretario comunale patentato), FERRARO Marco (sacerdote), GIAMEI Germano (già consigliere comunale), GIANNANTONIO Michele (già sottufficiale dell’Esercito), IELARDI Pietro (sacerdote), LEONARDIS (DE) Carlo (già consigliere comunale), MARONATI Ermenegildo (già Brigadiere dei R. Carabinieri), NUNZIO (DE) Costantini (già sottufficiale dei R. Carabinieri), OONOFRIO (D’) Luigi (già consigliere comunale), PITEO Angelantonio (sacerdote), RAIMONDO Diodoro (già consigliere comunale), RICCI Achille e Angelantonio (già sottufficiali dell’Esercito), Angelomaria (notaio), Biagio (notaio), Diodoro (già consigliere comunale), Giovanni (sacerdote), Giovanbattista (sottufficiale in congedo), Pietropaolo (già consigliere comunale) e Silvestro (sacerdote), SORIANO Antonio (caporalmaggiore in congedo) e Vincenzo (già appartenente all’arma dei R. Carabinieri), TOMASELLI Angelo (sottufficiale in congedo), Diodoro (già consigliere comunale) e Giuseppe (maestro elementare), VALENTE Antonio (già consigliere comunale), Epifanio (maestro elementare), Ferdinando (licenza ginnasiale) e Nicola (segretario comunale), VISTA (LA) Giovanni (caporalmaggiore in congedo), VITALE Felice (dottore in medicina), ZUPPA Domenico (sacerdote) e Domenico (licenza ginnasiale), ZURLO Saverio (sacerdote).

A queste categorie di votanti per censo o per professione, si aggiungevano poi i soldati in congedo e coloro che si dichiaravano alfabetizzati, tutti inseriti nell’antico documento che oggi offre un interessante spaccato di un’epoca in cui c’era ancora una concezione elitaria della politica ma dove, se la selezione degli eletti e degli elettori avveniva in base al censo e all'istruzione, di contro vigeva la gratuità del mandato per senatori e deputati i quali, non percependo alcuna retribuzione o indennità, lo esercitavano per sola passione o per dovere civile. Emerge inoltre nettamente il quadro sociale di un piccolo comune dell’entroterra ove le personalità di massimo rilievo erano i notaio, il farmacista, il prete, il segretario comunale, il maestro, il medico, il flebotomo, l’agrimensore e qualche militare d’alto grado, nonché le famiglie più potenti, ma dove tuttavia già si manifestavano i primi segni di crisi economica e - allora come adesso - anche qualche piccolo broglio.

Nella suddetta lista, infatti, ben ventisette elettori vennero depennati perché appena emigrati in America, mentre altri undici risultarono illetterati e pertanto decaduti dal diritto al voto assegnatogli dal già citato articolo 100, il quale glielo attribuiva in virtù di una sorta di autocertificazione di saper leggere e scrivere, ma che evidentemente era risultata mendace a seguito di verifica. Sottratti a costoro anche tre deceduti e un “rimbambito”, a San Marco dei Cavoti i votanti effettivi furono quindi 341, mentre si sarebbero dovuti attendere più di cinquant’anni perché la politica diventasse alla portata di tutti e senza alcuna distinzione. Difficile stabilire se “si stava meglio quando si stava peggio”, ma è tuttavia certo che il prezzo della democrazia fu il mutamento dell’impegno per il bene comune in una sorta di professione retribuita, forse troppo, e malauguratamente sempre più priva di rapporti diretti tra politici ed elettori, invischiata nelle trame di partito, nonché tristemente carente di controllo, di ideali, di slanci e di passioni.

ANDREA JELARDI