L'infinito orizzonte del finito In primo piano

Nella mia breve pausa pomeridiana, prima di tuffarmi nuovamente nel vortice dell’attività professionale, mi è capitato, non so perché, di rileggere “L’Infinito” di Giacomo Leopardi.

“Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

E questa siepe, che da tanta parte

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. …”

Una lettura diversa da quella dello svogliato studente di un tempo. Una lettura non imposta da altri, ma improvvisa, spontanea; anzi cercata, fortemente voluta, sedimentata. Ripetuta intimamente più volte per assimilare il sapore, il colore, l’essenza del verso. Per cercare l’idem sentire, la vibrazione del cuore del Poeta.    

Come d’incanto tempo e spazio hanno perso peso, identità, contesto. Una strana sensazione di calma ha avvolto l’anima in quella serenità tanto cercata nella vita quotidiana.

La mente, capricciosa, si è messa a vagare nell’inesplorato mare dell’inconscio. Immagini, sensazioni, ricordi in un indefinito magma di tepore si sono avvicendati, fusi e confusi.

Un benessere interiore mai provato. Etereo, trascendente la meschinità e la corta prospettiva del carpe diem.

Mi è parso di vedere con occhi diversi i contorni della mia città. L’orizzonte della dormiente del Sannio perso nella nebbia invernale, impalpabile nell’infinita visione del finito, così lontana dalla fredda logica dello sguardo superficiale. Del guardare senza vedere.

Una luce di nostalgica magia ha avvolto i luoghi e le persone di sempre, finalmente liberati dal bisogno del contingente, del correre senza mai arrivare, dell’ipocrisia dei rapporti umani, del guadagno ad ogni costo.

L’immensità dell’anima.

“Immensità s’annega il pensier mio:

E il naufragar m’è dolce in questo mare.”.

E’ stato un attimo … ma infinito.

UGO CAMPESE