Terremoto... Chi ha brindato questa volta? In primo piano

Pare che le parole economia e finanza, come una pillola miracolosa, possano essere adoperate per togliere dalla testa qualunque preoccupazione. Il nostro è un paese malaticcio, con tanti specialisti che all’occorrenza si fiondano al capezzale dell’infermo, non si sa bene se per portare conforto e sollievo o per succhiare l’ultima goccia di sangue.

Accanto ai film già visti come, purtroppo, tante altre volte appena dopo un terremoto o disastri in genere, con protagonisti gli angeli volontari, i vigili del fuoco tuttofare, le forze dell’ordine a scovare gli sciacalli, si piombano come avvoltoi sui luoghi delle disgrazie sia gli opinionisti del sapere, i tecnici delle calamità che dispensano, come uno sciame sismico, le loro raffazzonate culture rispolverate per l’occasione, sia i mestieranti della politica, alla ricerca della popolarità perduta o di vagheggiati, positivi ritorni d’immagine e di potere.

Benevento e il Sannio, lo scorso anno, sono stati vittime di nubifragi, che hanno causato morti (pochi rispetto all’evento) e danni ingenti. Il centro Italia è stato colpito, pochi giorni fa, da una immane sciagura. Il nesso qual è? E’ un’altra parola, magica, sempre la stessa, che però è poco appariscente: prevenzione. Con le attuali conoscenze, si dirà, è impossibile prevedere terremoti; magari sì, per altre tipologie di calamità. E in ogni caso chiunque, sano di mente, si pone la domanda del perché non si possa, là dove possibile, precorrere i disastri, giocare d’anticipo soprattutto su ciò che è storicamente ciclico e determinato. Le inondazioni non succedono solo perché cade più acqua dal cielo.

Sappiamo tutti che il territorio e l’ambiente vanno preservati, perché l’uomo, con le sue molteplici attività, contribuisce solo a creare disastri. E’ anche vero, però, che la mano dell’uomo spesso sistema e corregge ciò che i fenomeni naturali distruggono, con la loro violenza in apparenza cieca. Abbiamo davanti agli occhi la Costiera Amalfitana, patrimonio dell’umanità, che di sicuro va salvaguardata e conservata nella sua interezza. Ma lì, su quelle asperità, l’uomo coltiva la vite e l’ulivo, e produce vino e olio pregiati, da secoli; e da tempo coltiva pomodori ed agrumi, che sono un’eccellenza nell’alimentazione e nella gastronomia. Tutto ciò significa che da quando l’uomo ha messo piede sulla terra si è adoperato per creare a se stesso condizioni di vivibilità e di adattamento, un equilibrio che con il tempo è andato sempre più affinandosi. Salvaguardare ambiente e territorio vuol dire dunque tutelare quell’equilibrio, spesso precario perché faticoso e imprevedibile.

Nei vertici della politica e del governo si discute di salvaguardia ambientale, soprattutto del risvolto economico e finanziario della questione. Ci si domanda: è giusto puntare sulla realizzazione di interventi strutturali, a larga scala, o invece è meglio spalmare le risorse per eseguire interventi più mirati? Già la conoscenza superficiale del territorio, così come quella delle condizioni precarie delle strutture in cui vivono gli abitanti dei centri storici, non escludono nessuna delle due possibilità; sarebbe da incentivare, anzi, l’utilizzo dei mezzi necessari sia per risolvere annose questioni idrogeologiche di area vasta sia per contribuire, realizzando progetti più semplici e di minore impatto, a portare nelle popolazioni benefici più immediati. Né è da sottovalutare, come s’è visto nell’ultimo terremoto, che gran parte dei cedimenti strutturali delle case fatte in pietra è causato da maldestri interventi di ristrutturazione, non ultimo l’appesantimento con la realizzazione di gravose coperture in cemento armato.

Lamentarsi e piangersi addosso non serve, è necessario correggere il tiro. A cominciare, come al solito, dal governo, che ad ogni disastro crea la legge d’emergenza e sparge le direttive ministeriali di attuazione. E ogni volta si ha la sensazione, dopo la sciagura, che non c’è nessuno che sappia di concreto cosa fare, che non c’è norma a cui aggrapparsi, e si galleggia in un limbo d’incertezza, stagnante e fetido. E quando s’interviene, dopo che si sono contati i morti e i danni, lo si fa in maniera scellerata, gonfiando cifre e architettando risoluzioni, senza mai però alzare la testa e pensare che ricostruire o riparare è sì un atto immediato da eseguire, ma sempre con lo sguardo rivolto alla crescita e, soprattutto, alla salvaguardia del territorio e del benessere comune.

L’orogenesi dell’Italia è particolarmente complessa, prodotta dallo schiacciamento tra Africa ed Europa: in un percorso di oltre 250 milioni di anni ha visto nascere e scomparire mari e oceani, che hanno lasciato segni nelle pietre della penisola. E ancora più complicata è la questione campana: si tratta infatti di un antiappennino, essendo formata da una serie di rilievi e catene del tutto autonomi rispetto al raggruppamento principale, da cui sono slegati da ampie e profonde depressioni. Dal Garigliano al Sele si intervallano catene calcaree e gruppi vulcanici, costituendo un mix di elementi di complessa coesione, che rendono il nostro territorio fortemente a rischio.

E, per chi avesse memoria, in molti casi anche la toponomastica potrebbe esserci utile per le decisioni da prendere quando si attribuiscono le destinazioni d’uso nella pianificazione del territorio (ricorda qualcosa la zona di Benevento denominata Pantano, dove spesso si consumano rovine di vario genere?). Ma se la via d’uscita c’è, per quanto riguarda il rischio idrogeologico, soprattutto recuperando la memoria delle buone pratiche in agricoltura, approfondendo la conoscenza dei territori e rafforzando la prevenzione, che alla lunga costituiranno anche un coefficiente di accrescimento per lo sviluppo economico, per i terremoti il discorso è diverso. Ma in maniera molto sintetica si dirà che sia in ambito di prevenzione sia in quello di emergenza ci sono molte cose da fare. L’importante è che questi disastri non siano solo l’occasione per fare arricchire qualcuno, come ci ricordano, tristemente, i fatti post-sisma dell’Umbria e di Perugia in particolare. Altrimenti anche adesso dovremmo chiederci: chi ha brindato questa volta?

UBALDO ARGENIO

Altre immagini