Toni Servillo a Palcoscenico Duemila/La lingua e i mille volti di Napoli In primo piano

Il grande fiume della lingua napoletana, arricchito dai suoi affluenti popolari, dalle parlate dei vicoli e dei portuali, dei ladri e delle prostitute, ha preso corpo nella performance teatrale di Toni Servillo, al Teatro Massimo di Benevento, quinta tappa della rassegna “Palcoscenico Duemila”. Un viaggio attraverso i versi di noti poeti ed attori, brani e poemetti che sembrano nati per la scena, che vanno a delineare una naturale “architettura di parole”.

Uno spettacolo davvero multiforme e multicolore, “Toni Servillo legge Napoli”, con i suoi ritmi altalenanti, tra rabbia e poesia, denuncia e riflessione, passionalità e brutalità. L’attore ha raccontato il cammino di un popolo dal Paradiso all’Inferno, all’incontrario di Dante, cominciando con i poveri che approdano al cielo, mandati a prendere dal Padreterno con un lenzuolo, finalmente sfamati e sereni, come hanno sempre sognato.

Dopo “La mappata” di Salvatore Di Giacomo è stata la volta della storia di Vincenzo De Pretore, scritta da Eduardo De Filippo. Il protagonista ruba per campare, ma un giorno viene beccato da un colpo di pistola e proprio mentre lo portano in ospedale immagina di trovarsi in Paradiso al cospetto di San Giuseppe, scelto come santo protettore. Vuole rimanere in quel regno celeste, ma le leggi divine non lo consentono. Allora si ribella tutta la Sacra Famiglia e il Padreterno finalmente acconsente. Per De Pretore è una grande consolazione, prima di esalare l’ultimo respiro.

La cavalcata dell’attore attraversa i campi della gioia e del dolore, con le poesie di Ferdinando Russo, Raffaele Viviani, Mimmo Borrelli, Maurizio De Giovanni, Enzo Moscato, Giuseppe Montesano e Michele Sovente. Sprofonda nelle viscere del mare con tutte le sue creature, sale negli spazi assolati del rancore e della bestemmia, penetra nei meandri della morte e della disumanità. Le sue parole diventano a volte nenie disperate e lamenti ossessivi, a volte sberleffi irriverenti e cantilene ambulanti.

Uno dei momenti più intensi arriva con “Fravecature” di Raffaele Viviani, che Servillo ritiene il più grande poeta napoletano, per il grande “patrimonio di civiltà” che ci ha tramandato. La poesia parla di un muratore che cade dall’impalcatura e della sua famiglia che precipita nella disperazione. La bravura dell’artista esplode nella declamazione dei mille volti di Napoli.

Nel grande affresco della poesia napoletana non poteva mancare Totò con la famosa “A livella”. “Per me - ha detto Servillo - il principe Antonio De Curtis e Rossini sono quelli che più di tutti hanno allontanato la tristezza dal mondo”. lo spettacolo si è chiuso con un tocco leggero e spassoso. L’attore ha voluto salutare il pubblico con la canzoncina “A’ casciaforte”, che egli ha definito un “manifesto contro la modernità”.

ANTONIO ESPOSITO 

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