Una amara lezione In primo piano
Che qualcuno inciampasse il 4 marzo si poteva prevedere, vista la complicatezza della legge elettorale e le nuove particelle territoriali dei collegi. Mai, però, che pure i vincitori, a diversi titoli, dovessero scontare crisi di nervi senza alcun freno di circostanza.
Il dottor Domenico Ocone, coltivatore viticolo e produttore di pacificanti bottiglie di rosso e di bianco, ha fatto ricorso ad una filosofica considerazione di un modesto suo concittadino dopo il terremoto del 1980: “E che ce steva stipatu...”
Le elezioni del 4 marzo, come un terremoto inaspettato, ci mette di fronte a sorprendenti novità. Che vanno, tuttavia, accettate, comprese, analizzate. Perché, si capisce, passata la paura, andati via i soccorritori, esaurite le scorte di beni di prima necessità, la vita deve riprendere. Con tutti i protagonisti sulla scena: a differenza che nel dopo-terremoto, compresi morti e feriti.
Innanzi tutto la legge operava in senso ampiamente proporzionale. Essendo in corsa tre schieramenti, appariva improbabile per uno dei tre la conquista della maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e al Senato. Doveva esser chiaro a tutti (anche agli elettori) che il voto sarebbe stato “giocato”, in una fase successiva, alla Borsa delle trattative, utilizzato come moneta di scambio per il raggiungimento di un qualche risultato.
Mentre era volata per l'aria l'infantile tentativo di tenere “bloccati” gli eletti alla catena dell'elettore (introducendo addirittura il vincolo di mandato, almeno nel vietare i cambi di casacca), la realtà legislativa e politica affida all'eletto una assoluta libertà di manovra alfine di giungere alla composizione di una maggioranza, dalla quale può essere sostenuto un governo. Insomma: noi abbiamo eletto gente che va a formare il parlamento; non abbiamo eletto un governo. La somma dei voti fornisce, tutt'al più, una indicazione circa una possibile volontà popolare, ma il governo riusciranno a comporlo quelle forze politiche (con i rappresentanti eletti da noi) che riusciranno a trovare un accordo.
Che senso ha, allora, che capi e sottocapi lunedì continuassero a marciare con le parole d'ordine della campagna elettorale? Semplicemente, non erano andati a dormire e non s'erano accorti che era passata la nottata.
A qualcuno non piacerà, ma la realtà è che, in base ai risultati, ogni raggruppamento deve dimenticare la fierezza delle posizioni incantatrici spese per accalappiare il voto e deve portare a casa dell'elettore un risultato chiaro: la costruzione di una maggioranza capace di far nascere e sostenere un governo, ovvero ritagliarsi una posizione di minoranza destinata a combattere dall'opposizione potendo godere delle briciole di potere che i “governativi” di volta in volta concederanno.
Altra questione è, invece, il significato politico-sociale che bisogna cercare di dare al voto. La vittoria dei Cinque Stelle è frutto di una coerenza di fondo nelle vicende interne e di una organizzazione territoriale poco appariscente, ma concreta ed efficiente. La sconfitta del Centro destra e del Partito Democratico è la conseguenza della inesistenza delle strutture organizzative locali e della tendenza a cumulare in famiglia incarichi e prebende.
I partiti, ormai inesistenti (qualcuno mi sa dire dove ha sede Forza Italia o il PD? quando hanno celebrato i congressi con qualche votazione che non fosse l'alzata di mano?), hanno continuato a sottovalutare i grillini come un movimento di burloni alle calcagna d'un comico. Ma se dai partiti ormai non escono più segnali di vita, idee capaci di coinvolgere, programmi da sostenere mettendoci la faccia, è evidente che in quel che sarebbe la dirigenza si è persa qualsiasi ascendenza sull'elettorato, se non proprio qualsiasi contatto con la realtà. Dispiace dover registrare che dagli eredi dello sfascio, pur quando hanno salvato la pelle (Del Basso De Caro e Sandra Mastella), si siano levate recriminazioni nei confronti dell'elettorato.
A Torrecuso, patria dell'unico consigliere regionale PD figlio di un supersindaco, il PD ha preso369 voti, 471 Forza Italia e 745 il Movimento Cinque stelle. A Ceppaloni, dove D'Alema poteva scendere in elicottero senza andare a salutare il sindaco Rossi, i Grillini sono primi con 569 voti, il PD racimola 220 voti e Forza Italia turbomastellizzata arriva a 481. A Benevento, i Cinque stelle sfiorano i 16mila voti, il PD (che ha avuto l'unico sottosegretario e per dieci anni il Comune) si ferma a 4262, Forza Italia (rivitalizzata dalle truppe mastellate) raggiunge i 5.773 voti.
Qualcuno già parla di Terza Repubblica. Non è con le fughe in avanti che si affrontano i problemi e si provano le soluzioni. Noi che abbiamo assistito alla gioiosa rovina della Prima e alla ansimante quotidianità della Seconda osiamo ancora sperare, magari nella consapevolezza del ruolo che le tante facce nuove potranno acquisire nell'esercizio di quel ruolo da svolgere (art. 54 della Costituzione) “con disciplina e onore”.
MARIO PEDICINI