Violentato più dall'incuria che dall'alluvione... Il Parco Cellarulo non c'è più In primo piano

Sono passati tre anni dalla terribile alluvione che ha colpito Benevento e se la maggior parte delle opere danneggiate è stata ripristinata, il parco archeologico Cellarulo rappresenta ancora oggi una ferita aperta nell’orgoglio e al decoro di questa città. Inaugurato dalla passata amministrazione con un notevole investimento di risorse è stato, per breve tempo, il fiore all’occhiello di un ambizioso progetto di riqualificazione urbana che si proponeva la sistemazione di una vasta area periferica in un connubio tra architettura sostenibile, natura e storia sulla penisola fluviale lambita dal Sabato.

Cosi un luogo incolto è stato completamente riprogettato e concepito come uno spazio polifunzionale dove, forme architettoniche insolite e una folta vegetazione, avrebbero riconsegnato ai cittadini un polmone verde assai suggestivo per eventi mondani, culturali o semplici passeggiate in un percorso inusuale e assai caratteristico.

Sfortunatamente gli eventi nefasti dell’ottobre 2015 hanno portato via quel piccolo angolo di natura e dove non è arrivata la furia dell’acqua e degli elementi, ci hanno pensato i vandali che con continue incursioni e furti, hanno abbattuto e distrutto quel poco che era stato risparmiato dal fango. In questi anni non sono mancate iniziative di potreste e di sensibilizzazione di associazioni e privati cittadini ma, nelle lungaggini burocratiche e per via delle esigue risorse delle casse comunali, ogni appello è caduto pressoché nel vuoto e placato sul momento con laconiche promesse di interventi mai effettuati.

Oggi il parco risulta completamente inagibile e sono pochi i curiosi che oltrepassano i cancelli in uno scenario desolante e quasi spettrale. La natura, con una velocità impressionante, si sta riappropriando dei percorsi faticosamente creati e dei sentieri originari non è rimasto che una traccia leggera destinata a soccombere rapidamente. Senza nessuno a contenere la sua irruenza e complice la rassegnazione per quel che è stato e non potrà più ritornare, la vegetazione sta ricoprendo l’intera area e si fa fatica a riconoscere gli stessi luoghi come apparivano un tempo non troppo lontano.

In questo totale oblio nel giro di pochi anni del progetto non rimarrà più nulla: il legno delle panchine e delle staccionate marcisce, il metallo dei lampioni arrugginisce e solamente i manufatti in cemento saranno testimoni inconsapevoli di questo pezzo di “archeologia industriale”.

Nell’indifferenza generale è tornato il silenzio sulle sponde del fiume Sabato e le comitive spensierate che un tempo creavano un piacevole chiacchiericcio in lontananza sono state sfrattate e hanno dovuto soccombere ai detriti e all’impossibilità per tutti di trovare una soluzione soddisfacente a questo problema.

Eppure il fascino del luogo resiste all’incuria e alle alluvioni: il silenzio, l’ordinato disordine, i sentieri fangosi e i percorsi ormai invisibili ci rimandano, per chi lo ricorda, ad un terreno ondulato ed erboso, a un fiume di pietra bianca che seguiva e accompagnava il visitatore (come il fiume vero, a poche decine di metri più in là), ad un ponte coperto, a filari di alberi ordinati, a ulivi piantati in mezzo a quelli selvatici…Tutto sparito in un maledetto giorno assieme ai reperti archeologici, agli insediamenti sanniti, alle fornaci artigiane di 2.000 anni che le firme e le proteste degli abitanti non sono riusciti a salvare.

La suggestione è palpabile e forse varrebbe la pena di riprovarci, di provare a ripristinare tutto, di non arrendersi e di restituire alla città ciò che fino a poco fa era stato suo e che poteva e potrà essere ancora un vanto per quelle generazioni attente all’ambiente e ad uno sviluppo sostenibile dell’ecosistema urbano.

ANTONIO IORIO

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