Il tempo passa anche quando non succede niente Politica

Eric Schmidt l'ha definito, il XXI, il secolo dell'attenzione. Il tempo conquista i mercati, e appare quasi piu' importante del pil e dello spread. Esiste anche in Italia, da oltre un ventennio, la Banca del tempo. Alla base c’è uno scambio gratuito di prestazioni personali dove, a prescindere dal valore delle singole competenze, un’ora vale un’ora. Bella conquista, ma questa è un’alta storia. “Il tempo? Se non me lo chiedi so cos’è. Ma se me lo chiedi non lo so più”, sosteneva Agostino d’Ippona. Più semplicemente sono cresciuto con l’idea che il tempo fosse un’invenzione umana, ma a darmene certezza dell’inesistenza è stato Fabrizio de Andrè, quando nel Valzer per un amore ha sentenziato “Vola il tempo lo sai che vola e va, forse non ce ne accorgiamo, ma più ancora del tempo che non ha età, siamo noi che ce ne andiamo”. Ma dove? Bè, ma anche questa è un’altra storia. Che il tempo non esista, cantato in un valzer, pare audace, avventato, ma a sentire illustri fisici al festival della Scienza di Genova, un minimo d’inquietudine m’assale. I fisici Carlo Rovelli e Lee Smolin hanno elaborato la teoria della gravità quantistica a loop, sostiene che il tempo non esiste. Questo perché la teoria si riferisce al tempo come noi lo intendiamo, cioè come elemento a sé. In realtà il concetto del tempo, più semplicemente, fluttua nella composita mescolanza degli elementi che compongono il tutto.

Sembra d’impazzire. Il tempo non lo tocchiamo con mano, eppure c’è perché lo misuriamo, ma diventa inutile considerarlo essendo pura illusione, perché non ha una consistenza fisica.

Eppure diciamo “ieri mi sono incontrato con Giovanni”, “domani sosterrò un esame” oppure “alle 10.45 prenderò il treno per Palmanova”. O è stato detto “Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria…”. Ma il tempo passa anche quando non succede niente!

Quelli richiamati sono concetti filosofici, poi fisici, poi guerrafondai, ma il nostro tempo, quello che viviamo, o se volete quello che passiamo, cos’è? Una certezza dovremmo averla, e cioè che il momento che noi concepiamo sulla Terra non è identico a quello di un qualsiasi altro posto. Ma ce n’è un’altra, di certezza, se consideriamo che tra il nostro passato e il futuro, che non sappiamo quanto ci appartiene, c’è il presente, una sorta di zona intermedia, una terra di mezzo che in qualche maniera ci è familiare e che attesta la nostra presenza. E di sicuro ce n’è un’altra ancora, perché il tempo non è irreversibile, perché non contempla che, come esseri viventi, prima moriamo, poi ringiovaniamo ed infine nasciamo.

Il tempo appare allora come una sorta di ombra, perché ognuno ha la sua, sia nella luce sia nell’indifferenza della notte, inconfondibile e inafferrabile; e il tempo ci appartiene, o apparteniamo al tempo, sia quando guardiamo la tv sia quando dormiamo o siamo assorti in pensieri cosmici.

E ci appartiene anche la comprensione del tempo, o meglio la sua coscienza, perché, al di là delle misurazioni, ne abbiamo una percezione legata alle diverse fasi della nostra età. Da ragazzi ci appare lungo, eterno, e vorremmo che passasse velocemente, come ben altra stima ne abbiamo nell’età adulta. Dunque è in noi, è la nostra natura che lo invoca, che lo reclama come entità soprannaturale e astratta.

Jonathan Crary, nell’ultima sua fatica 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno ci invita, però, a sondare altri orizzonti. E si riferisce al tempo del lavoro ma anche a quello del divertimento, in ogni caso dell’impegno. Ventiquattrore su ventiquattro, sette giorni su sette. Non tempo dilatato ma chiuso in una gabbia granitica. Dio aveva diviso il giorno dalla notte, l’uomo li riunisce; non solo, ma abolisce anche il tempo del riposo.

Qualche decennio addietro si parlava di non luoghi, riferendosi a quei grossi contenitori, tipo i megaipermercati, dove pur muovendosi in una confusione totale di persone si aveva la sensazione netta di vivere un’estrema solitudine. Allo stesso modo oggi si parla di non tempo, una veglia integrale che erode le nostre certezze.

La notte era, in genere, il tempo dei silenzi, delle meditazioni; era soprattutto il tempo del riposo, la giusta soddisfazione per il lavoro passato e la necessaria pausa per affrontare quello a venire. Oggi pare che il tempo non ci manchi, anche se ciò che veramente ci manca è la libertà di viverlo. E si torna al valzer del tempo, ma di un tempo innaturale, geneticamente modificato: ci assale un magma di notizie, e la sua forza centrifuga, quella del caos informe, ci spinge al passatempo, che è un’altra modificazione del tempo. La vita singola conta se è dinamica, il tempo del sonno diventa tempo perduto, non produttivo; la vita sociale un moto perpetuo, dove si muovono esseri abulici e iperattivi, per consumare e produrre con sequenza continua e incessante.

Ma se non siamo noi, chi è dunque il signore del nostro tempo? E’ quello che ci è stato tramandato della creazione e della bellezza o quello nuovo della mistificazione e della smania? E’ quello che ci legava ad una quotidianità della vita, dei cicli delle stagioni, dei raccolti, dello scorrere dei giorni, dove la memoria diventava racconto e saggezza? O è quello che ci costringe in una corsa sfrenata, dove anche i raccolti della terra, con la sfruttamento intensivo del suolo, perdono il loro significato di frutti e diventano prodotti, dunque legati esclusivamente alla produzione economica e dei consumi?

Chi vincerà la guerra non è facile immaginarlo, anche se l’apparenza spinge a considerare che i mercanti sono sulla buona strada per conquistare il controllo della terra. Con la buona pace del vecchio e sano sonno ristoratore. Ma questa è un’altra storia.

UBALDO ARGENIO

Altre immagini