Libertà di che? Politica

Alessandro Sallusti è giornalista temerario ma non coraggioso. Lo fosse stato (coraggioso) avrebbe varcato a testa alta il portone di un repubblicano carcere italico, proponendosi come fiero martire degno di bronzei monumenti nei prossimi tempi della Terza Repubblica.

Ha accettato, invece, che una armata brancaleone scendesse in battaglia, anche a suo nome, per un giornalismo senza rischi, contrabbandato per libertà di stampa. In Parlamento le fatidiche poche idee ma confuse si sono ingloriosamente sfarinate e la battaglia per la libertà è stata opportunamente rimandata.

Una legge si cambia quando il tempo è sereno. Ci si può accorgere che è sbagliata quando ci incappa un guerriero della penna, ma non si corre a correggerla col fiato in gola.

Sallusti voleva sottrarsi alla pena, che è afflizione ma anche emenda e redenzione. Gli è andata male.

Il giudice, con malcelata malizia, gli ha evitato il carcere ma lo ha mandato agli arresti domiciliari in casa della compagna. Chiunque essa sia, anche una Santa (nché), la pena diventa sproporzionata. E offensiva.

L'ora d'aria gli toccherà quando la badante giudiziaria accetterà di recapitare al giornale il solito articolo con il sorpassato “fuori sacco”.

Un anno e quattro mesi al guinzaglio, salvo che il solito Buontempone non gli proponga una solenne elezione al Parlamento. E allora sì che la pena del contrappasso è perfidamente servita. Agli ordini di Gasparri, La Russa e Meloncina, una volta si chiamava, spudoratamente, disciplina di partito.

E non è meglio una povera libertà di stampa (e di carcere)?