Dalla catastrofe al miracolo Società

Negli anni ’80 del secolo scorso, Antonietta Giuliano fondò una rivista di cultura di respiro internazionale, girò il mondo per promuoverla, andava per convegni, meeting e occasioni di prestigio, se la faceva con ambasciatori e politici di rango. Nella sua città, pochi credettero nelle sue imprese, la stragrande maggioranza la ritenne vittima di esaltazione pre-menopausa.

Parlarono di lei radio e televisioni, allorché, reduce dagli States, congetturò che la Campania poteva arricchirsi con l’immondezza di New York. Ella aveva visto chiatte e barconi e consistenti navi uscire da Manhattam con carichi di spazzatura. Si era fatto un rapido calcolo su quanti rifiuti produca una metropoli come New York e aveva pensato che tutto quel ben di dio poteva essere portato in Campania e stivato nelle tante cave che si erano mangiate le montagne. Il tutto guadagnandoci sopra.

Il TG3 trasmise anche una intervista nel vento del porto di Napoli con l’allora assessore regionale del PSI Clino Bocchino. I beneventani non degnarono di una riflessione la “trovata” della signora Giuliano.

A scanso di equivoci, va detto che Antonietta (Tetta per i familiari e gli amici) non è imparentata in alcun modo con certi personaggi che portano il suo stesso cognome. Figlia di un funzionario del Genio Civile e di una maestra, è ella stessa professoressa di lettere, è sorella dell’avvocato-musicista Luigi (quello che organizza il BenGio festival), nonché di un magistrato e di un’altra professoressa. Quando espose la sua proposta era, insomma, una stimata professionista, perfettamente inserita nella borghesia cittadina, anche per il matrimonio con Franco Sguera. Voglio dire che non aveva dato sintomi di estremismo né politico né caratteriale. Né di tali sintomi si è avuta notizia successivamente. In molti la invidiano tuttora.

E’ probabile che la sua idea di portare i rifiuti nelle cave, voglio dire una ipotesi quasi esecutiva, abbia indotto politici e intellettuali, nonché la stessa opinione pubblica popolare, a non riflettere in maniera più ampia sulla problematica più complessiva che la Giuliano ci induceva ad affrontare. Che era, appunto, la questione dello smaltimento dei rifiuti in una città fortemente urbanizzata.

Che è, oggi, la questione dello smaltimento dei rifiuti a Napoli e in Campania. Che è, in ultima analisi, il problema della sottovalutazione di una questione, perché ci si rifiuta di affrontarla con la prospettiva del futuro, preferendo il comodo (comodo?) rifugio del “ma perché ci dobbiamo pensare noi? Quando sarà, ci penseranno i posteri”.

L’anno nuovo ha mostrato al mondo intero la catastrofe napoletana. Un esame di coscienza serio lo dobbiamo fare tutti. Quello che sta accadendo in questi giorni non è affatto la soluzione del problema. Mandare le navi in Sardegna o i treni in Germania non significa aver risolto il problema. Credere che De Gennaro riuscirà dove hanno fallito Catenacci, Bertolaso, Pansa (e lo stesso Bassolino nella duplice veste di presidente della Giunta Regionale e, successivamente, di commissario straordinario) significa non avere il senso della realtà. Se uno strumento assolutamente eccezionale viene adoperato per quattordici anni significa di per sé che non è in grado di ottenere alcun risultato. Se non quello di una vasta e devastante delegittimazione degli organi ordinari della vita civile.

Sono quattordici anni, infatti, che comuni e province e gli organi normali della Regione sono stati estromessi da una funzione tipica degli organismi territoriali. Raccogliere l’immondizia e fare in modo che venga trasformata, con procedimenti fisici e chimici, in qualcosa che non faccia male (o riducendo al minimo gli inconvenienti sopportabili dalla comunità umana e animale), è ciò che più propriamente dovrebbero fare comuni e province. La Regione dovrebbe fare le leggi e i regolamenti.

Allorché la competenza è passata dal terreno giuridico-pratico a quello miracolistico, si è intrapresa la strada del ridicolo per quanto riguarda il pugno di mosche che si è ritrovato in mano chi era stato incaricato di fare il miracolo e, contemporaneamente, si è tolta ogni autorevolezza ai sindaci i quali, senza accorgersi del male che facevano a sé stessi, si sono sentiti liberi di indossare la fascia tricolore per capeggiare i masanielli che si oppongono a qualsiasi soluzione possa richiedere un qualche sacrificio (o un disagio lautamente compensato) per la propria zona.

Appartiene alla categoria del miracolistico anche l’attuale assetto organizzativo dato dal governo centrale. 120 giorni per fare ciò che non si è fatto in quattordici anni rappresentano un “annuncio”. E questo non è tempo di annunci.

Poiché è molto improbabile che i comuni riusciranno a rispettare i tempi per allestire la raccolta differenziata, veramente il governo avrà la forza di sciogliere i consigli comunali dei comuni inadempienti? Non si sarà legittimata una rivolta generale? Chi, tra esercito marina o aviazione, andrà a sgomberare le aule consiliari presidiate dagli organismi sciolti che non vorranno sciogliersi?

La rottura degli argini della legalità – perché di questo si tratta, quando le grida restano lettera morta – non sarà gestibile neanche dalla minaccia della bomba atomica.

Bisogna quindi ritornare alle competenze proprie degli enti locali. L’esercizio prolungato di poteri sostitutivi, nel mentre dimostra che non a caso certe competenze non possono appartenere all’impotente governo di turno, fa venir meno tutto quel complesso di abilità tecniche (procedure, prassi, rapporti interistituzionali) che sono lo strumento ordinario attraverso il quale si concretizza la tanto conclamata volontà politica delle classi dirigenti delle comunità locali.

Al tempo dei consigli comunali non ricattabili dai nuovi sindaci-despota frutto di elezione diretta, quando cioè la mediazione continua era il limite e il valore di una democrazia giornaliera, si diceva: meglio il peggior consiglio comunale che il miglior commissario.

Ricorderei questa massima, che non è frutto di cinismo, agli anziani e ai giovani. Agli uni con la preghiera di rialzare la testa. Ai secondi con l’invito a non farsi abbagliare dai passeggeri uomini della provvidenza.

MARIO PEDICINI

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