1943: c'era la guerra Società

Caro direttore,

ci siamo definitivamente liberati della guerra; mi riferisco alla seconda guerra mondiale. Puntualmente, almeno fino all'anno scorso, i colleghi della carta stampata di matrice sannita in questo mese ricordavano i tragici eventi dei bombardamenti che particolarmente nel settembre del 1943 sconquassarono la città, con centinaia e centinaia di vittime innocenti.

Anch'io mi cimentai su quei tristi ricordi sulle pagine locali del quotidiano ROMA e, poi, in occasione del cinquantenario dei luttuosi eventi, addirittura, col libro 1943 c'era la guerra( di cui fosti il gratificante editore ); un testo a mezza strada tra cronaca e romanzo col quale cercai di tracciare un quadro della vita grama e irta di pericoli di quei tempi.

Caro direttore, se permetti vorrei sopperire io al mancato ricordo, a cura della carta stampata e delle tivvù, dell'evento guerra, culminato nei tragici bombardamenti aerei.

Forse tu mi compatirai, tacciandomi, se non di... guerrafondaio, almeno di nostalgico. Non so darti torto. Premetto, però, che mai e poi mai potrei, non dico osannare, giustificare la guerra e le sue cause. La guerra mi fece provare i primi cocenti dolori per la morte di due carissimi zii, fratelli di mio padre, che, sull'incrociatore Giussano e sulla corazzata Roma, immolarono le loro giovani vite - così enfaticamente faceva recitare a noi ragazzi il regime - per la grandezza della Patria.

La guerra: che cosa stolta! Eppure, da balilla, ci insegnarono a giustificarla: gli inglesi, ricchi sfondati di dominion e colonie, ci tenevano prigionieri nel ostro mare, il Mediterraneo, pretendendo onerosi balzelli per attraversare lo stretto di Gibilterra o l'istmo di Suez... Puah, la legge dei ricchi! Oggi invece non facciamo pagare obolo alcuno agli africani che approdano su sgangherate carrette dei mari sulle nostre coste, ad assaporare la loro america.

Scusami, direttore, per queste divagazioni! Parlavo della guerra a Benevento. Tutti facevamo la guerra, non solo i soldati sui fronti bellici. Noi civili, armati di... tessera annonaria, cercavamo di sconfiggere la fame. Tutto era tesserato: il pane (appena duecento grammi, poi, centocinquanta), la pasta (che facilmente passava di cottura), l'olio( rossastro) di semi ,la carne (una volta alla settimana: 50 grammi a testa) e anche il sapone, le scarpe...Benedetto il mese di settembre: ci si riempiva la pancia con l'uva (di vendemmia) e i fichi che i contadini del circondario portavano a vendere, a 30 centesimi al chilo, ai cittadini, pazientemente in fila, in attesa del proprio turno. Non si poteva nemmeno girare liberamente di sera (c'era il coprifuoco) nelle vie semibuie, scarsamente illuminate da lampadine schermate, di colore bluastro, perché... non dovevamo farci vedere dagli apparecchi nemici che ci sorvolavano ad alta quota, diretti a seminare lutti e rovine su Napoli e dintorni. Ma la paura dei temuti bombardamenti non ci abbandonava mai. Nelle ore più impensate si diffondeva, sinistro, il suono delle sirene d'allarme. Tutti nei ricoveri. Un'ora, due...poi, liberatorio, il suono del cessato allarme. Poi, un giorno, era il 20 agosto, intorno alle ore 13 e 30, preannunziate dal rombo assordante dei motori, sbucarono dalla Gran potenza le superfortezze volanti, accecanti nel loro colore alluminio. Il cielo si oscurò di grappoli di bombe:caddero sulla stazione centrale, facendo una carneficina dei viaggiatori in attesa di raggiungere i loro paesi verso Avellino, Foggia, Campobasso, Caserta. Le fiamme continuarono fino a notte fonda a sprigionarsi dai carri merci e dei loro contenuti.

Incominciò l'esodo verso i paesi vicini, cercando ospitalità presso parenti ed amici. E chi... non aveva santi in Paradiso si accalcò promiscuamente nelle gallerie ferroviarie. E venne il tifo petecchiale. E, poi, con l'arrivo delle truppe di occupazione, anche il vaiolo che deturpò il viso, come una grattugia, di tante persone.

E vennero le truppe della XIII divisione della quinta Armata americana. Occuparono tanti edifici. I migliori: il seminario regionale, il Palazzo Collenea, i villini Melchiorre, Perrotta, Boccaccini. Occuparono anche la villa comunale, edificando tra le aiuole baracconi dove, non di rado, si davano feste e festini. Però, gli occupanti, ovvero i liberatori, ci portarono le forme squadrate di pane bianchissimo, di farina di riso, e le scatolette di carned beef e la polvere di piselli. E tanti tipi di sigarette: le Senior service, le Philiphe Morris, eccetera, eccetera. E portarono soprattutto tante inflazionanti lire di occupazione - le Am-lire. Diedero anche lavoro, ovviamente di manovalanza, a molte persone che sbarcarono così il lunario. Poi se ne andarono, lasciando rimpianti e anche qualche... anonima paternità.

E tutto tornò nel solco. Incominciò la ricostruzione (sono ancora visibili certe oltraggiose forzature edilizie!). Col tempo, dopo essere stata conservata, per decenni, acefala, presso la marmifera di Mario, Salvatore e Pompeo Perifano, tornò restaurata nella sua piazza, la statua benedicente di Papa Orsini.

Caro direttore,oggi, lontanissima la seconda guerra mondiale, si vive in euforia. Ci sono tante ma tante manifestazioni ricreative (decisamente troppe) da giugno a settembre. Ci sono i grandi eventi: Quattro notti che offre gratuitamente alla popolazione forme e artisti d'arte varia; e, ovviamente, Città spettacolo che forse l'anno prossima poggerà un po' meno sui teatranti partenopei e porterà a Benevento, grazie al suo dinamico direttore ( tralasci, se può, i suoi personali lavori! ), opere ed artisti di fama internazionale, magari senza tanti contorni di spettacolini riempitivi.

C'era una volta la guerra. Mancava il pane, oggi abbondiamo di dolci, se ne sono aggiunti altri, grazie alla loro riscoperta da parte della professoressa Angela Reale, autrice di un apprezzato libro d'arte culinaria sannita. Uno particolarmente, che richiama l'antico dolce di riso col latte, è stato rilanciato, col nome allettante di luna piena, dal Presidente del Consiglio regionale Sandra Lonardo che ha preso quindi anche per la gola i suoi conterranei.

Buona degustazione! Magari sorseggiando la rediviva marsalao un bicchierino di rosolio fatto in casa dalla nonna...

In alto i bicchierini, direttore! Beviamo pure noi alle migliori fortune di Benevento e del Sannio. Andiamo in pace. La guerra risulta definitivamente sconfitta...

tuo Clemente Cassese