A proposito di cultura del sapere... Wikipedia non è infallibile Società

Umberto Eco diceva che la cultura non consiste nel sapere ogni cosa (sarebbe materialmente impossibile), ma nel saper trovare l’informazione giusta nel momento in cui serve. Di sicuro Eco scrisse questa frase prima che esistesse internet, o perlomeno prima che nascessero Google e soprattutto Wikipedia.

Oggi saper trovare l’informazione giusta non è più sinonimo di cultura: bastano una connessione ad internet e una manciata di secondi. E naturalmente occorre saper scrivere, ma neanche tanto: Google corregge gli errori e suggerisce automaticamente quello che stiamo cercando anche se non siamo certi di come si scrive di preciso.

Allora la cultura è diventata inutile, è soltanto uno sfoggio accademico di erudizione riservato a Piero Angela, suo figlio Alberto e pochi altri eletti? Vorrei sperare di no. Innanzitutto, se le informazioni che cerchiamo sono su internet, significa che qualcuno le ha scritte e pubblicate in rete, di certo non si sono generate da sole.

Google indicizza qualcosa come miliardi di pagine internet, che sono solo la punta dell’iceberg di quello che circola in rete: la maggior parte dei contenuti online non sono pubblici, dalle mail al cloud passando per il deep web. Rimane comunque una mole d’informazioni mastodontica, che se stampata riempirebbe più volumi di quanti sono contenuti in tutte le biblioteche del mondo.

Wikipedia invece è un’enciclopedia onnicomprensiva scritta dagli utenti alla quale chiunque può partecipare creando o aggiornando pagine sull’argomento che più gli aggrada. Possono scrivervi accademici plurilaureati o adolescenti che non hanno ancora terminato la scuola dell’obbligo. L’importante è rispettare alcune regole fondamentali dettate da Wikipedia, tra cui il rispetto della neutralità e l’impegno ad inserire solo informazioni vere e verificate, indicando ove possibile le fonti. I contenuti vengono monitorati e moderati costantemente; nonostante ciò sono possibili errori ed imprecisioni, ma sappiamo che la perfezione non è di questo mondo.

Più che all’enciclopedia Treccani o alla prima, celebre Enciclopedia curata da Diderot e d’Alembert (che costituì il culmine della cultura illuministica francese ed europea nel 18° secolo), Wikipedia potrebbe essere paragonata al mitico manuale delle Giovani Marmotte: vi si può trovare di tutto, dalle biografie dei partecipanti alle prime edizioni del Grande Fratello ai riassunti degli episodi delle serie tv più famose. Eppure oggi gli studenti la usano per le ricerche scolastiche molto più delle tradizionali enciclopedie cartacee.

La cosa che più contraddistingue questo strumento, utile ed oramai irrinunciabile anche per moltissimi professionisti, è il fatto che non è redatta dall’alto, bensì dal basso. Non più un consesso di studiosi blasonati che si offrono di condividere la loro erudizione superiore al volgo: Wikipedia è un’enciclopedia democratica, nella quale nessuno occupa una cattedra, ma tutti gli autori hanno lo stesso valore. Un concetto alquanto rivoluzionario.

L’idea di un’enciclopedia collettiva scritta dalle stesse persone che poi la consultano si è rivelata vincente ed anzi ha fatto da modello al cosiddetto motore wiki: gruppi collettivi dove ognuno mette in comune il proprio sapere e le proprie competenze al servizio di una comunità. Può essere un modo per condividere ricette di cucina, itinerari di viaggio o per sviluppare sistemi informatici open source.

Un domani questa formula potrebbe applicarsi ad ambiti oggi soffocati da meccanismi complessi e farraginosi. Un motore wiki di pareri legali, per chi cerca precedenti giudiziari (in Italia non avrebbe valore legale, ma in paesi dove vige la common law, come il Regno Unito o gli Stati Uniti, sarebbe una soluzione che renderebbe le cause civili più rapide e meno costose). Oppure una burocrazia wiki, dove chi deve svolgere una pratica può ricevere assistenza da chi l’ha già fatto. Ecco, se un domani una pubblica amministrazione wiki raggiungesse la stessa popolarità e la stessa praticità di Wikipedia, l’Italia sarebbe forse il più bel paese al mondo in cui vivere.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO