Biomasse e dintorni Società

Anche noi, nello scorso numero, abbiamo affrontato il “caso Nardone” solamente dal punto di vista delle conseguenze politiche delle sue dimissioni e del ritiro di esse. Il “fatto” - da cui hanno preso spunto gli uni e gli altri per sfidare Nardone e per il quale lo stesso presidente della Provincia ha preteso il chiarimento che è difficile ammettere ci sia stato – è rimasto nell’ombra. E, invece, sul fatto bisogna ritornare. In sintesi la questione sta in questi termini. L’Italia per produrre energia consuma petrolio e gas, che importa a caro prezzo. Anche l’ipotetico diversivo del carbone andrebbe comprato. Non possiamo fare a meno dell’energia, perché essa muove i processi produttivi e tutta la vita collettiva e individuale. Un paese moderno – e noi lo siamo – è un grande consumatore (anzi, divoratore) di energia. In altre parti d’Europa parte dell’energia si produce attraverso il nucleare. In Italia ci fu un referendum e gli italiani, male informati ed anzi un po’ ricattati dai catastrofisti ambientalisti che poi avrebbero fatto carriere in politica, dissero a grande maggioranza un bel no alle centrali atomiche. Le due che erano in funzione stanno ancora lì (quella sul Garigliano sta a quattro passi da Benevento) e quelle che erano in costruzione (Montalto di Castro) sono state riconvertite, a costo di enormi investimenti, in centrali a olio combustibile (o a gas, ma il ragionamento non cambia). Naturalmente l’Italia fa arrivare energia elettrica, attraverso gli elettrodotti, da molti paesi europei che la producono nelle loro centrali nucleari. Il fatto è che quella che produciamo a caro prezzo non ci basta e, perciò, paghiamo a prezzi remunerativi per chi la vende anche l’energia prodotta attraverso il nucleare. Esemplare dimostrazione di quanto sappiamo badare ai nostri interessi. La coerenza è salva? Fate voi. Gli antinucleare, che in Italia sono la stragrande maggioranza, sono perplessi, tuttavia, pure nei confronti dei metodi alternativi di produzione dell’elettricità. Pur sapendo che l’eolico e il fotovoltaico non potranno mai sostituire le centrali a olio e a gas, i fondamentalisti senza fondamenti si lanciano in ardite battaglie contro le pale posizionate sulle montagne dell’Appennino. (A Vienna ci sono impianti eolici tra le case della periferia per fornire energia a stabilimenti industriali. L’altra sera alla trasmissione di TV7 condotta da Antonio Martone mi sono azzardato a chiedere a Ciro Vigorito: “Perché l’energia per lo stadio non la producete con una bella elica piazzata su uno dei quattro piloni le cui lampade, dal 1990, poco a poco si sono quasi tutte fulminate?”). Le pale deturpano il paesaggio. I pannelli fotovoltaici certamente pretendono un adattamento degli uccelli. Mentre tuteliamo il paesaggio (come se il paesaggio non è quello che nei secoli ha costruito l’uomo, a mezzadria col Padreterno) e attendiamo contributi pubblici per provare a mettere sul tetto un po’ di fotovoltaico (ma intanto di parabole e antenne sofisticate è ormai zeppo il territorio), ci viene detto che un modo biologicamente corretto sarebbe quello di produrre calore ed energia, incanalando l’uno e l’altra verso proficui usi civili, attraverso la bruciature di biomasse. Che cosa saranno mai queste biomasse? Il presidente Nardone, nella foga delle giustificazioni della sua linea politica sulla materia, ha detto che anche le stoppie che i contadini bruciano abitualmente durante l’estate, col rischio di provocare veri e propri incendi, possono alimentare le centrali a biomasse. Insomma anche la stoppia è biomassa. Anche, ci vuol tanto a capire? Non è che le biomasse sono il frutto spontaneo delle terre incolte. Se così fosse avrebbero ragione quelli che hanno calcolato che la quantità di stoppie raccoglibile in provincia di Benevento non sarebbe sufficiente a far andare avanti le centrali. Ecco, allora, che si è insinuato che si brucerebbero le balle dell’immondizia accumulate in questi tristi anni di inefficienza della filiera raccolta, stoccaggio, separazione e incenerimento della parte che può andare a fuoco di tutta l’immondizia. Posto che l’immondizia seguirà la sua strada (ma gli inceneritori bruceranno quel che è di pertinenza sempre per produrre energia elettrica: non dimentichiamolo), nelle centrali a biomasse che cosa finirà? Frasche raccolte da passeggiatori biologici, petali di rose ammosciate tra le mani di anziani nostalgici amanti, aghi di pini fatti a mazzetti sul viale degli Atlantici dagli allievi della scuola carabinieri nei momenti di libera uscita? Cari lettori, quando a Benevento si produceva il tabacco, mi sapete dire a che cosa serviva? Se ci penso, il tabacco era una produzione di una cosa che tanto bene non faceva alla salute, ma faceva bene al portafoglio dei contadini che lo coltivavano. O no? Insomma il tabacco era una “produzione” economicamente conveniente. E perché vecchi e nuovi contadini non potrebbero produrre un po’ di biomassa appositamente per le centrali? E’ evidente, infatti, che chi gestirà le centrali e venderà l’energia, dovrà pur pagare chi gli procura quella roba che si brucia. Il CNR (che è il centro nazionale delle ricerche, un organismo dello stato) ha realizzato nell’area del Fortore e del Tammaro nei gli ultimi tre anni un progetto sperimentale per la valorizzazione delle aree rurali. Il progetto metteva insieme tre piccole zone dell’Italia: oltre alla nostra provincia, il Casentino in Toscana è un’area del Trentino. Ebbene, tra le cose interessanti venute fuori, c’è stata la effettiva e remunerativa sperimentazione di “semina su duro”, per esempio di mais. Ci sono alcuni giovani agricoltori di San Giorgio la Molara che lavorano in collegamento con il Sudamerica. Senza fare costosi e inutili scassi con i trattori ma assecondano la natura del terreno (e rispettando l’ambiente, quindi) è possibile produrre convenienti quantitativi di mais. E lo scarto delle piante di mais si possono vendere come biomasse. Insomma le biomasse si possono produrre con apposite coltivazioni. Il loro costo, a differenza di quello del petrolio, resterebbe in Italia. Per dire che l’uso delle biomasse per fare andare le centrali elettriche non è conveniente, non bisogna censire gli scarti dell’agricoltura oggi disponibili. Bisogna calcolare la quantità di biomasse ricavabili da nuove coltivazioni, perché tale quantità è modificabile ed è modificabile in alto. MARIO PEDICINI info@mariopedicini.it