FILIERA E REGIME Società

Romano Prodi, vincitore delle elezioni del 9 e 10 aprile 2006, ha fatto il governo. Ha spezzettato alcuni ministeri, ha cambiato il nome di altri (con miliardi di spese solo per targhe, timbri, buste e carta intestata), ma soprattutto ha deciso di tenere per tre giorni riuniti i ministri per “fare la conoscenza”. E sì, perché si è letto che alcuni ministri (e tanti sottosegretari) sono stati presi alla sprovvista. Loro, vale a dire gli interessati, non se l’aspettavano, non si erano messi a studiare da ministri. Pure quelli che il ministro volevano farlo, si son trovati in un posto anziché in un altro. Valga per tutti il caso del nostro Clemente Mastella, il quale, se si era preparato, aveva fatto un pensiero alla Difesa e, invece, si trova a fare il Ministro della Giustizia. Comprenderete che non è proprio la stessa materia. Stupisce, quindi, che un Bianchi la prima cosa che ha detto quando ha aperto bocca da Ministro è stata che lui il ponte sullo stretto non lo vuole. Un professore dell’Università di Reggio dovrebbe sapere che ai siciliani, forse, il ponte farebbe piacere. Si dà il caso che in Sicilia si sarebbe votato il 28 maggio. Si è dato il caso, poi che il centrosinistra in Sicilia abbia perso. Per colpa del ponte? Per colpa delle dichiarazioni del Ministro Bianchi? Insomma, in Italia, si mette insieme un governo senza che i ministri abbiano tra le mani uno straccio di programma sul quale operare in armonia. La fregola di dire qualcosa denota imprudenza, ma tradisce un difetto del sistema che, così com’è congegnato, non ha nessuna possibilità di funzionare come la gente si aspetterebbe. Non vorrei che anche al comune di Benevento si debba assistere a esternazioni libere di assessori appena nominati (quando sarà) e, in un secondo tempo, ad una tre giorni di collaudo del team governativo. Il rischio deriva dal fatto che il nuovo sindaco Fausto Pepe, da candidato sindaco, non poteva neanche immaginare la squadra di governo, dal momento che gli accordi tra i partiti della coalizione poi risultata vincente prevedevano che assessori saranno i primi eletti di ciascuna lista. Nel caso di Prodi, lui poteva avere in mente alcuni nomi di ministri, senza badare alle candidature per Camera e Senato. Nel caso di Fausto Pepe, l’incertezza stava nel sistema. E’ da presumere, quindi, che per il comune di Benevento la lista degli assessori non è la risultante di un lavoro fatto a monte di individuazione di persone affidabili e capaci e, presumibilmente, già amalgamate. L’incertezza circa la compatibilità di culture e la disponibilità al gioco di squadra è insita nella decisione degli alleati di affidare all’esito elettorale anche la scelta delle persone da indicare al sindaco perché, da bravo presidente di seggio, ne trascrivesse le generalità copiandole da un verbale di proclamazione degli eletti. Sarà pure il metodo più democratico che si possa concepire, converrete con me che non è il massimo di funzionalità, di efficienza, di economicità. La legge, non a caso, affida al sindaco il compito di nominare gli assessori. Stare in giunta è come stare in famiglia, si tratta di un matrimonio non monogamico e a tempo. Affidare al caso gli accoppiamenti è stato un azzardo. La coalizione vincente può contare, peraltro, sulla portata politica della vittoria. Per la prima volta le anime di sinistra hanno dismesso certi atteggiamenti antimastellisti che, nel passato, avevano dato qualche momento di notorietà camuffata da coraggio. Mastella ha calato una carta di qualità, com’è Fausto Pepe, un giovane professionista che conosce la vicenda cittadina degli ultimi quindici anni, esperto quanto basta di gestione di enti pubblici, senza essersi .logorato e senza essersi sporcato con autentici centri di potere (l’ARPAC non è l’ASL). Negli ultimi tempi ha giovato alla “umanizzazione” di Mastella uomo di potere l’ascesa della moglie alla presidenza del Consiglio Regionale. Da ultimo l’esordio da Ministro della Giustizia con una attenzione (sincera come cristiano, astuta politicamente) verso uno sconto di pena a chi si trova in carcere gli ha procurata qualche (interessata) simpatia da parte di tante famiglie che vivono, come s’usa dire, ai margini della legalità. Fausto Pepe non diverrà bersaglio, dunque, dell’antimastellismo radicale da parte di frange alleate. Potrà sprigionare orgoglio, intelligenza, entusiasmo. Saprà far uso del giusto senso della misura. Dovrà guardarsi da una fortunata circostanza, che è anche un obiettivo pericolo. Intendo riferirmi alla “filiera” di cui tanto (forse anche imprudentemente) si sta parlando. E’ fuori dubbio che una amministrazione di centrosinistra trova interlocutori maggiormente disponibili e strade conosciute (più che porte aperte) quando dello stesso schieramento è il governo regionale e quello nazionale. Che si tratti di filiera ci sta bene. Che si sottenda il cappio dolce di un regime disturba non solo gli elettori del centrodestra, ma anche quelli (pochi? molti? comunque determinanti) che hanno mosso le pedine per dare fiducia alla ipotesi di un rinnovamento. Così come cinque anni fa per la truppa parlamentare tutta allineata col governo Berlusconi scrivemmo che non avevano alibi in caso di insuccesso, metto in guardia ora Fausto Pepe. Non avrà scusanti politiche se dovesse non mantenere le promesse. La sfida è ardua. Avendo dalla sua la forza della “filiera”, toccherà a lui tenere ben saldo il timone di una rotta che faccia fare alla città i passi giusti per guadagnare posti nelle classifiche del benessere, della sicurezza, dello sviluppo.
MARIO PEDICINI
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