Il cenone di Natale Società

Nello scendere le scale condominiali sentiamo Gelsomina cantare, deformato, l’antico inno natalizio: “Tu scendi dalle stelle, int’’a nuttata, e vide cumme ci hanne cumbinate...

Riservandoci di redarguire l’improvvisata cantante per l’inopportuna, quasi sacrilega, variazione del sacro testo, chiediamo “E cosa ti hanno combinato?”.

Prontamente la lavascale: “Domandatelo a Monti! Seh, Monti, seh!... Berlusconi ce l’aveva tolta (l’Ici) e il “salvatore della Patria” ce l’ha rimessa, cambiando il nome. Ora l’Ici, peggiorata, si chiama Imu. Io per la prima rata avevo pagato quasi 18O euri , con la seconda rata (grazie, sindaco Pepe! Che ci ha messo la ionta) ho versato altri trecento euri. E non finisce qui. I commercianti per rifarsi delle maggiori tasse hanno ritoccato a salire i prezzi delle svendite. Come a dire che scappa il cetrulo e va sempre a quel servizio all’ortolano...

E’ nera, cavalie’! Ma che ci viene a fare Natale se non ci sono soldi da spendere? Naturalmente parlo per me e i miei simili, mentre Monti si è guardato bene dal toccare lo stipendio ai deputati, senatori , sindaci e presidenti.. Meno male che finalmente l’hanno cacciato!”.

Gelsomi’, ih che lagna! Pensiamo invece alle cose belle, al santo Natale..”.

Io ci penso e rimpiango quello di una volta. A noi Natale veniva una diecina di giorni prima: mia madre metteva a spugnare la scella di baccalà. Ce la mangiavamo come appendicite (sta per appendice) al pesce. Il baccalà mammà lo faceva fritto e se ne serviva per preparare l’insalata di rinforzo a base di peperoni, cavolfiore, e aolive bianche. Mia madre non so quante volte durante tutta la settimana santa la cacciava dal frigorifero e la rimetteva a posto senza che nessuno l’avesse assaggiata (solo papanonno ci impizzava dentro la forchetta per solleticare l’appetito).

Il pesce invece tutti lo volevano. Alla vigilia la cena incominciava con l’antipasto di mare: purpo (polipo), gamberi e cuori di cozziche. Subito appriesso (dopo) mammà serviva a tavola la zuppiera con le linguine a vongole. I signori come voi imbastardivano la portata con gli scorfani e le ranfe (tentacoli) di calamari. Noi invece i calamari ce li facevamo fritti, assieme ai gamberi, triglie e merluzzetti; tutta roba fresca perché allora la roba congelata non c’era; e se c’era noi il pesce scongelato ce lo mangiavamo per fresco. Poi, “per devozione” mammà cacciava (serviva) il pesce in bianco: cefalo con contorno di stocco (baccalà). Allora a Benevento non si conoscevano (se non le famiglie perbene) le spigole di mare (mentre adesso, a basso prezzo come le alici, ce li mangiamo d’allevamento).

Poi, neanche il tempo di alleggerire (digerire) le pietanze appena ‘nghiuttute (degustate), zi-zia Nannina si apprisentava con il ruoto dell’ainiello con le patane. Mammà faceva le porzioni. A papanonno toccava sempre la capozzella “’A mugliera ce la riservava sempe” borbottava, commossa. Poi a papà e a zio Nicola (che l’aveva cresciuto, il piecoro) toccavano sempre i pezzi migliori (la coscia!). Poi, alle zie un pezzo di spalla e una costoletta più ricca di carne. A noi ragazzi ci toccavano sempre le rimasuglie. Ma mamma’ mi riempiva il piatto di patate con la crosta arrossita, facendomi un occhiolino d’intesa.

Tutti decantavano la pietanza, pure papanonno che però, come al solito, si distingueva nell’elevare qualche critica; quanto meno pontificava: “Ossa e picossa ‘a carne ‘e piecoro è tutt’ossa!”

Poi, veniva il bello. Mamma’ e le zie sparecchiavano. Era il segnale del... festival dei tortani. Le sante donne si presentavano ognuno con il proprio gioiello. Il primo panettone fu quella di zia Reparata . Era bello, alto e biondo. Tagliato a fette fu da tutti apprezzato.

Poi, mamma’ affettò il tortano dell’altra sorella. Prima però l’aveva alzato alla visione dei commensali. Non l’avesse mai fatto: un coro di critiche sibilanti si diffuse in giro: “E’ un poco basso..., è un poco troppo scuro...”. Ma all’assaggio i commensali finirono per assolvere il manufatto.

Poi, venne il turno del panettone di mamma’. La poveretta si schernì: nun è venuto troppo buono; io ce l’avevo detto a Micillo (il rinomato panettiere Rosiello da sempre operante di fronte al teatro romano): “Don Anto’, mi raccomando non lo fate stare in mezzo alle correnti, si arresta la crescita...”. Seh! Ho raccomandato le pecore al lupo. Ma i commensali non vollero sentire ragione e mammà affettò, cercando di nascondere alla vista dei parenti il... mostriciattolo, che più nero e basso non si può.

Alla degustazione, tutti, compreso mio padre, non esitarono a esprimere il loro pieno dissenso. Mio padre avendo capito di averla fatta grossa, si allontanò nel cucinino per bere l’ennesimo bicchiere di vino. Fu seguito dalla moglie che aveva raccolto il corpo del reato smozzicato e abbandonato sulla tovaglia. “Tu pure” sibilò mammà, ma non tanto da non farsi sentire da me capitata vicino all’...aula di tribunale “te si’ mmisse a criticà!!!”. Mio padre cercò di farle una carezza. “Leveme ‘e mmane a cuollo!... Po’ facimme ‘e cunte quanne se ne so gghiute tutti ‘sti traditure...”

La serata si concluse con gli applausi di tutti che avevano seguito papà e zio Mario fuori al vascio, a v edere sparare i tricchi-tracche”.

Mo’ nu sparammo cchiù” mormorò Gelsomina “La cena non la facciamo più. Pranziamo a mezzogiorno. E chi ‘e ttene ‘e sorde per fa tanta spampe (sciupio) ?!...”.

Sento una stretta al cuore. “Gelsomi’, quasi dimenticavo: tengo la tua “tredicesima”. I condomini quest’anno hanno voluto premiarti, per l’ottimo servizio, dandoti qualcosa in più”. Ed estraggo dal portafoglio la solita “tredicesima” a cui aggiungo di tasca mia un certo sovrappiù.

Grazie, cavalie’! E col sorriso di chi la sa lunga aggiunge: “E ringraziatemi pure i sensibili condomini da voi amministrati... Cavalie’, vi voglio bbene!...”.

CLEMENTE CASSESE 

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