L'albero di Natale, così è nata la tradizione Società

Il Natale si avvicina a grandi passi, portando con sé tutto il carosello di tradizioni, usi e costumi che proprio in questo periodo così magico dell’anno raggiungono l’apoteosi: il presepe, l’albero addobbato, il cenone, la tombola, la messa di mezzanotte, la lettera a Gesù Bambino, i dolci tipici, i regali.

Ne siamo tutti piacevolmente assuefatti, ma se proviamo a chiedere come e quando siano nate certe usanze, tipo: come è nata la tradizione dell’albero di Natale?

Potete star certi che la maggior parte delle persone non sapranno cosa rispondere.

Bene, vediamo di colmare qualche lacuna!

La tradizione dell’albero di Natale

In Italia, prima della fine dell’Ottocento, di questo simbolo della Grande Festa quasi non se ne conosceva l’esistenza.

L’albero di Natale, infatti, nasce in altri contesti: quelli nordici, celtici e vichinghi, culture nelle quali in occasione del solstizio d’inverno si affidava ad alberi come l’abete o il tasso (sempreverdi, che non perdono mai le foglie, cioè: che non muoiono mai) il messaggio di speranza di veder risorgere il verde della natura.

Nella cultura germanica, non a caso, era sotto l’abete che, secondo la tradizione popolare, venivano lasciati i neonati (no: non quelli abbandonati. E’ l’equivalente del nostro cavolo sotto il quale la cicogna lascia i bambini). Così, l’albero dell’inverno veniva addobbato, lo si onorava, gli si attribuiva un potere sacrale.

Il Cristianesimo guardò con sospetto a questi culti: contro gli alberi sacri si scatenò, per così dire, la “crociata” degli ecclesiastici, tutti tesi a sradicare dalla testa della gente quei retaggi di paganesimo. Papi ed ecclesiastici tuonarono contro tali pratiche sacrali.

Per contrastare il culto dell’abete e per diciamo “cristianizzarlo”, la Chiesa promosse l’icona dell’agrifoglio (altra essenza verde che ancor oggi fa parte integrante della scenografia natalizia) presentandolo come metafora della corona di spine di Cristo e identificando nelle bacche rosse il simbolo delle gocce di sangue sulla testa di Gesù martirizzato.

L’albero (in generale, non solo l’abete nordico e il tasso celtico), alla fine, fu depotenziato del suo contenuto pagano e, per così dire, riabilitato assimilandolo alla figura del Cristo, “albero cosmico” della vita e della resurrezione.

L’uso dell’albero natalizio è, dunque, praticamente tutto nordico e, infatti, non è un caso che siano le città dell’area baltico-germanica a contendersi il primato del primo albero eretto in una piazza per le festività di fine anno: gli estoni di Tallin si richiamano ad una testimonianza che risale addirittura al 1441; i tedeschi di Brema ricordano che nel 1570 un abete, durante il periodo festivo, veniva decorato e accessoriato di frutta secca e mele; i lettoni di Riga giurano che l’albero più antico è il loro, preparato, secondo i documenti, già dal capodanno del 1510.

Non stupisce, dunque, vedere l’uso dell’abete natalizio dilagare nel mondo settentrionale fra Sei e Settecento, ma nel resto dell’Europa l’uso arriva molto tardi e, non casualmente, importato dai tedeschi. Sono loro a introdurlo in Austria dove l’albero compare per la prima volta, a quanto se ne sa, nel 1816 e in Inghilterra, a metà dell’Ottocento, grazie ad Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, tedesco, principe consorte della regina Vittoria. Anche in Francia esistono alberi di Natale nel Seicento, ma solo nell’Alsazia protestante: nel resto del Paese si diffondono solo dal 1840 e, guarda caso, introdotti dalla duchessa d’Orléans, anch’essa tedesca.

In Italia è la regina Margherita di Savoia a farlo innalzare per la prima volta nel palazzo reale del Quirinale a Roma. E nemmeno questo fatto è casuale: Margherita era amica intima di Federico III di Prussia, aveva una ammirazione sconfinata per la cultura tedesca, tant’è che le si attribuisce la frase “In Italia tutti comandano, in Germania tutti obbediscono”.

ANNAMARIA GANGALE

annamariagangale@hotmail.it

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