L'inglese sì, l'abuso no Società

Realtà Sannita in passato si è interessata a più riprese dell’uso indiscriminato dell’inglese nella lingua italiana facendo forse storcere il naso a più d’uno. Ora però pare che a interessarsene e in modo convincente sia la ministra per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno, stanca di parole come digital by default, once only, big data, cyber security che potrebbero rappresentare degli ostacoli per i dipendenti pubblici proprio in un momento cruciale come quello della digitalizzazione della pubblica amministrazione.

“Credo sia sbagliato e fuorviante accettare questa sostituzione della lingua italiana - ritiene la ministra Giulia Bongiorno - e parlo di sostituzione perché l’uso reiterato delle parole inglesi fa sì che a volte il corrispettivo italiano si perda. Dunque dico basta, con forza, a questo ibrido che forse vorrebbe far sembrare l’italiano più moderno, ma in realtà lo sta svilendo”.

Chi fa da contraltare replica però adducendo la contraddittorietà governativa nei concorsi pubblici che continua a organizzare chiedendo da un lato come prerequisito fondamentale la conoscenza dell’inglese e dall’altro poi preferendo che nella pubblica amministrazione non lo si usi.

“L’italiano è un bene - continua la ministra Bongiorno - che appartiene a tutti noi: andrebbe protetto, esercitato e tutelato. Perché noi italiani siamo così affascinati dall’inglese, così propensi a servircene anche quando potremmo esprimere lo stesso concetto nella nostra lingua altrettanto, se non più, efficacemente? Sudditanza psicologica? Effetti della globalizzazione? Provincialismo? Viene da chiedersi, per esempio, come mai spagnoli e francesi siano molto meno inclini a lasciarsi ‘colonizzare’; in questo siamo più simili ai tedeschi, la cui lingua però, se non altro, appartiene allo stesso ceppo dell’inglese”.

Dall’altra parte c’è chi non comprende come questa cosa debba poter escludere un’altra competenza linguistica, sempre più necessaria al giorno d’oggi.

La Bongiorno specifica che non invoca una “fissità refrattaria a ogni sollecitazione esterna”, ma vuole evitare il rischio di dimenticare le parole italiane, impoverendo la nostra lingua, e di rendere più difficile la comunicazione. E si potrebbe intanto cominciare con lo studiarlo meglio, considerato che nel 2016 l’Italia era ventunesima su ventisei Paesi europei per conoscenza dell’inglese.

“Se contesto l’abuso dell’inglese - ribadisce la ministra Bongiorno - non è dunque per principio: la mia preoccupazione, più che fondata, è che privilegiare i vocaboli inglesi quando se ne può fare a meno ostacoli la comunicazione e la comprensione. Dal momento che è innanzitutto tra di noi che dobbiamo parlare e capirci, sono convinta che quanto prima dovremmo riappropriarci di termini quali riunione, prestazione, fascicoli, scadenza”.

GIANCARLO SCARAMUZZO