Mastri, dove siete? Società

Il 22 maggio il Giro d’Italia farà tappa a Benevento. Il traguardo sarà posto al culmine del Corso Garibaldi, di fronte alla Prefettura. Tra qualche giorno si dovrà mettere mano al basolato, perché ai ciclisti bisogna offrire sotto le ruote quasi una moquette.

Già l’anno scorso, a marzo, allo stesso posto ci fu un arrivo di tappa. Era la Tirreno-Adriatico e, anche allora, ci furono urgenti lavori di sistemazione dei basoli.

Senonché toccare i basoli a Benevento è come raddrizzare le gambe ai cani: proprio non riesce. Più volte al Corso, in quei due tratti nei quali sono rimasti gli indistruttibili pezzi di lava del Vesuvio, qualcuno ha pensato di eliminare qualche gobba o avvallamento. Soprattutto negli ultimi tempi, ogni operazione, a fronte dei disagi al traffico, dimostra in breve tempo la sua inutilità, anzi la sua nocività.

Non solo togliere e rimettere i basoli non elimina gli avvallamenti, ma si determina una sconnessione tra i vari pezzi di pietra che ballano letteralmente, fanno schizzare acqua (beninteso, solo quando piove) e fanno arrabbiare la gente. Questi lavori vengono eseguiti, infatti, con sempre maggiore disinvoltura. Si pensa, probabilmente, che con un po’ di cemento, tutto si può fare. E invece i basoli si ribellano. Col cemento non vogliono avere dimestichezza. Meno che mai, ipotizzo, potrebbero andare d’accordo con le colle sintetiche che si usano per i gres e le ceramiche.

Una volta queste grosse pietre venivano annegate in un letto di pozzolana o di terriccio che plasticamente aderiva e quasi le cullava. Si usava asfalto per sigillare le fessure ed era un altro elemento non rigido che si adattava al freddo e al caldo e teneva “giunte” i pezzi gli uni agli altri.

A dodici mesi di distanza i lavori fatti l’anno scorso denotano tutti gli errori tecnici commessi. Colpa dei progettisti? Colpa delle maestranze? Non importa. Dovrebbe importare, invece, che a Benevento ormai non esiste più chi sappia posare pavimenti stradali, siano essi i cubetti di via del Pomerio o i basoli del corso.

O - in altri tempi avremmo detto: udite, udite – in piazza Santa Sofia.

E sì, perché si resta senza parola andando in Santa Sofia passando su quel lembo di pavimentazione nuova. Sono mesi che la piazza è ingabbiata, rigorosamente vietata all’osservazione dell’occhio del cittadino. Dovendo cucire la nuova pavimentazione con il campanile, sul lato del vecchio palazzo Petrucciani la staccionata è stata arretrata, sicché abbiamo potuto mettere le scarpe sulla pietra nuova.

Ebbene, prima ancora della inaugurazione, tra una pietra e l’altra quel che potrebbe essere malta in più punti è saltata o s’è sbriciolata, per la semplice ragione che sembra messa “a posticcio”, cioè tanto per abbellire. Le pietre bianche bucciardate che fanno da ornamento e accompagnano i canali di scolo (pur essi bianchi) sono accostate “a secco” ma così poco accostate che non è difficile prevedere che di qui a qualche anno negli interstizi riempitisi, nel frattempo, di terra e polveri, nasceranno erbe le cui radici “mangeranno da sotto” la pavimentazione.

Insomma, una tragedia.

Sulla tabella dei lavori c’è una sfilza di progettisti, architetti, ingegneri e tecnici responsabili del cantiere. E’ mai possibile che queste banali osservazioni non siano venute in mente a professionisti di tal vaglia? E l’impresa non mette dentro una sua specifica professionalità, imponendo che certe cose si debbano fare a regola d’arte? Laddove la regola dell’arte è anche quella delle maestranze.

E’ mai possibile che non ci sia più in giro un “maestro di cucchiara” che sappia spiegare all’architetto a che serve la malta, come e con che cosa si impasta, e dove si mette. Pensare di sigillare gli interstizi delle pietre del pavimento dopo significa prendere e prendersi in giro. Quel po’ di cemento salterà via subito, come è già saltato. Hai voglia di rimettercelo, non attacca.

E allora? Dovremo rimpiangere i vecchi basoli, prima ancora di vedere quanto è bella la nuova piazza? Non è questo il sentimento che ispira queste note. La città deve andare avanti, deve fare cose nuove. Ma le deve fare bene.

Se nel passato furono costruiti l’Arco di Traiano e il Duomo, Santa Sofia e palazzo Collenea è perché c’erano maestranze professionali, capaci di posare il marmo a secco senza un filo d’aria in cui far spuntare le erbacce e capaci di impstare malte che hanno sfidato i secoli. Una terribile ventata di ignoranza ha fatto sparire muratori, posatori e stuccatori.

Forse abbiamo bisogno di meno professori universitari. Servono mastri d’ascia e mastri di cucchiara. Ma serve, soprattutto, una cosa chiamata coscienza, da cui deriva coscienziosità.

MARIO PEDICINI

(Realtà Sannita anno XXV – n.6 / 1-15 aprile 2002 pag.1)