Società - Missione umanitaria in Togo e Ghana.

Missione umanitaria in Togo e Ghana. Società

Pubblichiamo qui di seguito il drammatico racconto del giornalista dottor Luigi Pilla, pediatra al Fatebenefratelli di Benevento che ripercorre la sua esperienza in Africa vissuta a contatto con una realtà terribile fatta di povertà e tante malattie, soprattutto di bambini, così difficili da curare con gli scarsissimi mezzi disponibili. Chi va in Africa e ci vive per un po’ di tempo, quasi certamente vi ritorna per una sorta di attrazione dovuta al fatto di restare emotivamente coinvolti e convinti di poter servire alla nobile causa dell’aiuto a persone sfortunate. Già altre volte l’Aeronautica Militare Italiana e la Fondazione Internazionale dei Fatebenefratelli hanno portato a temine spettacolari operazioni umanitarie eseguendo centinaia di interventi per la rimozione chirurgica di cataratte e pterigi che affliggono popolazioni anche giovani del continente africano. Così è stato anche ora nella missione svoltasi dal 7 al 20 giugno, che in questa occasione si è raddoppiata, perché una volta raggiunta la capitale del Togo, Lomè, con un C 130 stivato di attrezzature e farmaci, i 40 medici appartenenti all’Aeronautica e ai nostri Istituti Religiosi si sono divisi in due gruppi: una parte è rimasta in Togo proseguendo verso l’Ospedale di Afagnan, ed un’altra ha attraversato la frontiera dirigendosi nel lontano ovest del Ghana, in un luogo chiamato Asafo. La novità di queste missioni è consistita nel fatto che non ve ne facevano parte soltanto oculisti, ma anche cardiologi, dermatologi e pediatri. Così ho fatto parte del gruppo destinato ad Asafo insieme con Nietta, mia moglie dermatologa, presidente della sezione di Benevento dell’Associazione dei Fatebenefratelli Per I Malati Lontani. Se tutto non fosse stato organizzato e pianificato per bene non saremmo potuti giungere a destinazione. Controlli estenuanti alla frontiera, guasti ai fuoristrada della colonna sanitaria diretta in Ghana, viabilità precaria, hanno reso difficile la marcia verso Asafo, ma una volta arrivati è bastata mezza giornata per preparare le sale operatorie, installare le attrezzature e cominciare a lavorare a pieno ritmo senza sosta per i 10 giorni rimasti. Io non ho lavorato con gli oculisti, ma sono andato nel reparto di pediatra, negli ambulatori ed in Maternità, prendendo immediatamente contatto con una realtà per me nuova e terribile, fatta di una elevatissima incidenza di mortalità neonatale ed infantile.. Ho lavorato con i mitici medici cubani che lottano senza sosta contro la Malaria, il Tifo, la Tubercolosi, il Colera , la Lebbra e le impressionanti malattie parassitarie che provocano ulcere cutanee deturpanti penetrando in maniera impressionante nei tessuti ed elefantiasi degli arti per l’occlusione dei vasi linfatici. In maternità non esistono incubatrici, mancano gli aspiratori, gli erogatori di ossigeno sono drammaticamente insufficienti. Quando nasce un bambino, per una sorta di tacita legge di selezione naturale, viene adagiato su un lettino e lasciato a se stesso. Se comincia a respirare ed è vitale può iniziare la sua nuova vita piena di incertezze, se non ce la fa a iniziare tutto da solo, può morire in pace nella piena rassegnazione dei parenti e dei medici. Nei pochi giorni che sono rimasto ad Asafo ho usato tutta la forza di persuasione possibile per dimostrare che basta poco ad aiutare un neonato a superare i primi momenti critici dopo la nascita, e contro i miei meriti sono stato intervistato da una troupe giornalistica dell’Aeronautica Militare che ha mandato in onda il servizio sabato 24 giugno alle 23,30 su TG2 Dossier. Ma la mancanza di una formazione permanente e delle più elementari attrezzature, l’esistenza di una mentalità rassegnata, non mi rende soddisfatto degli onori della ribalta televisiva sul canale nazionale, nè ottimista per il loro futuro, a meno che non vengano intrapresi contatti che durino e si rafforzino nel tempo con quei lontani ospedali impegnati in una lotta ardua per strappare alla malattia e alla morte tante vite umane. Che se ne faranno, e per quanto tempo, Elvia, Renè e Joseph, i miei valorosi colleghi cubani, di tutto quanto avevo portato con me e ho lasciato loro, perché nelle loro mani servisse ancora ad aiutare i piccoli, i piccoli della Terra? Senza una incubatrice, senza un laringoscopio, senza materiali, e senza ossigeno? Io non vorrò disperdere altre energie, ma chiedere solidarietà, allargare fino a dove è possibile il raggio di azione degli aiuti. La gente del Ghana incontrata lungo le strade dei villaggi è allegra ed ospitale, mostra una spiccata simpatia per noi italiani, ama la musica, il canto corale e la danza come manifestazioni istintive che ogni occasione è buona per mostrare, dalla nascita di un bambino alla celebrazione di un funerale. I bambini hanno un carattere dolcissimo ed uno sguardo che non si può dimenticare. Sono appena tornato ma devo cominciare a pensare al modo di aiutare quelle persone sole e sfortunate. L’Ospedale nel quale ho lavorato è isolato dal resto del Mondo. Prima di arrivare alla città più vicina, Kumasi distante circa 60 km, ci vogliono 4 ore di viaggio lungo una strada polverosa piena di buche enormi, percorsa notte e giorno da giganteschi camion carichi di tronchi di Tek che vengono trasportati verso i porti del sud. Io, appassionato di volo, che di recente ho pubblicato una raccolta di fotografie intitolata IL SANNIO VISTO DAL CIELO edita da Realtà Sannita, io che volo per diporto, non potevo non proporre ai miei amici del Ghana di accorciare le distanze con l’aeroplano. Se ce ne fossero, destinerei i soldi della vendita del volumetto a un progetto per i miei amici di Asafo. Essi hanno subito mostrato grande interesse per l’impiego di un aereo gestito in piena autonomia e insieme abbiamo parlato al Vescovo della loro Regione e al Console italiano di Lomè, Sua Eccellenza Graziano Bianchi. Entrambi ci hanno promesso il loro aiuto presso le autorità per ottenere i necessari permessi. “Curare gli ammalati nel corpo e nella mente” è la ragione principale dell’esistenza dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni Di Dio dei Fatebenefratelli, e gli ammalati non hanno nazionalità. LUIGI PILLA