Servono i partiti Società

All'uscita dal seggio dove aveva votato, il sindaco Fausto Pepe ha sinceramente ammesso che in campagna elettorale si è parlato poco di programmi, idee e cose da fare, poiché un po' tutti si sono fatti irretire dal ping-pong delle polemiche.

Fatta ammenda, si spera in un sollecito cambio di direzione. Un traguardo concreto, e di grande rilevanza, è previsto fra un anno. E' proprio la elezione del sindaco e del nuovo consiglio comunale del capoluogo. Pepe ha già salutato, durante il discorso tenuto a piazza Castello in occasione della festa della Repubblica, ricordando che non gli è consentito candidarsi a sindaco per una terza volta. Potrebbe dare l'esempio avviando fin d'ora una campagna elettorale fatta di prospettive e di proposte concrete, a beneficio certamente della sua parte politica, ma soprattutto a beneficio dei cittadini e degli elettori.

Quale migliore occasione di avviare il discorso partendo proprio da un consuntivo di dieci anni di azione amministrativa, documentando luci ed ombre, realizzazioni e occasioni mancate? Da una documentazione corposa di dieci anni di lavoro può nascere una riflessione seria sulla efficienza di una compagine che si è dovuto rimodulare nel tempo a causa di eventi (interni ed esterni) che di fatto ne hanno influenzato l'assetto, il colore politico, l'appartenenza sociale. Ma ci sarà tempo per questo, soprattutto se il sindaco ci aiuterà mettendo in piazza il suo “bilancio di quasi fine esercizio”.

E' fuori discussione che per eleggere il nuovo governo alla Regione Campania gli elettori non sono stati messi in condizione di “sapere qualcosa sui “contenuti. Sono stati, anzi, disorientati e messi in serie difficoltà dagli sciami di liste e dalle stravaganze di un sistema elettorale poco spiegate dagli stessi candidati.

Si è ripetuto il gioco (fin ora praticato soprattutto alle elezioni comunali) di “impiccare” gli elettori al “cappio” del candidato, senza fargli capire dove lo portava la espressione del nome di un professionista apprezzato o di un familiare o di un amico degni di stima. E' successo anche per quanto riguarda politici di stagionata fama.

Poco si è detto che la provincia di Benevento avrebbe avuto diritto a due consiglieri con quoziente pieno e che, invece, le troppe liste avrebbero portato molto probabilmente i candidati di Benevento nella centrifuga dei “resti”. Non si è previsto, cioè, quello che è successo. In carrozza al consiglio Regionale ci va solo il giovane piddino Mino Mortaruolo. Sul quale incombe l'onere dell'apprendistato e della rappresentanza dei sogni e dei bisogni dei suoi comprovinciali. Un uomo solo, purtroppo non al comando, ma aggregato al carro sia pure del vincitore.

Da Mortaruolo, opportunamente supportato da due esperti navigatori (il padre Mimì e il padrino Umberto), ci aspettiamo che voglia mantenersi fresco e desideroso di imparare, piuttosto che ridursi a fare solo il gregario. Il suo deve essere un investimento, non una sistemazione.

Proprio la campagna elettorale per le regionali ha fatto emergere l'urgenza di un ringiovanimento, non solo anagrafico, ma culturale e spirituale dell'idea stessa dell'impegno politico. Trovarsi di fronte al ginepraio di poteri che, nel momento in cui agiscono, non dipanano ma aggrovigliano la matassa dimostra che una classe politica priva di sostanziosa cultura e pronta solo a gettare ostacoli in direzione dell'avversario non è stata in grado di realizzare un “sistema che funzioni”.

A partire dalla legge Severino, votata da tutti senza che dica una parola chiara su una ipotesi diventata realtà (quella di De Luca) per finire alla autorevolezza di un grande partito che (sempre su De Luca) non è capace di sventare il pericolo mediante l'esercizio dei poteri di direzione, che da qualche parte staranno pure scritti in questo strano Partito Democratico senza altri aggettivi. Per non parlare di un organismo parlamentare quel è la commissione presieduta da Rosy Bindi che si trasforma in organo amministrativo che pubblica liste di proscrizione senza dire se si deve (e chi vi è tenuto) cancellare il nome di un “impresentabile” (nuova categoria di dati anagrafici?) da una lista di candidati o da una lista di eletti.

Lo sfaldamento delle istituzione è la conseguenza dello sfaldamento dei partiti. Quando si dice la politica, ci si dimentica che non è l'organo di rappresentanza della sovranità popolare (parlamento, consigli comunali, regionali e simili) la sede delle elaborazioni libere di idee, orientamenti culturali, valutazioni economiche, sociali, religiose, sentimentali. Non sono le istituzioni deputate ad alimentare questioni e a fornire materiali per soluzioni, ma le libere associazioni di cittadini prime fra tutte quelle previste dalla Costituzione “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” chiamate “partiti” (art. 49).

Occorre rifondare i partiti, partendo da una legge, come vuole la Costituzione (sempre osannata ma scarsamente attuata). Se è vero che qualche inglese motteggiava dicendo che la democrazia è il peggior sistema ma è l'unico che c'è, si può aggiornare il motteggio sui partiti affermando che, quando i partiti ci sono combinano guai, ma quando non ci sono succedono tragedie.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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