Stare in collegio Società

Ha dell'incredibile il suicidio politico di Amina Ingaldi trovatasi dalla sera alla mattina, in un colpo solo, fuori dalla Giunta e fuori dal Consiglio Comunale. E sì, perchè era diventata assessore in forza del suffragio popolare.

E qui sta la prima stranezza. La regola che undici anni fa il Partito Democratico inaugurò per un “sincero omaggio” al patrimonio di voti portava diritto i candidati più votati alla carica di assessore. Ci si accorse subito che anche il primo eletto del maggior partito non aveva  in tasca il biglietto di andata e ritorno. Una volta nominato assessore, poteva fare la faccia feroce al sindaco assumendo che non era merito suo (del sindaco) la sua nomina ma era una conseguenza naturale dello straordinario contributo da lui (consigliere) portato al successo della coalizione: e, quindi, anche dello stesso sindaco. Che, però, aveva l'arma segreta della revoca. L'entusiasmo portò a  non fare bene i calcoli a Claudio Mosè Principe, che da assessore ai lavori pubblici (o qualcosa di simile) si ritrovò disoccupato.

Imperterriti, i partiti (o chi fa le liste) continuano a ripetere l'errore, se non altro perché trattasi di una vera e proprio delegittimazione del loro ruolo. Se si affida la scelta al numero di voti, si capisce bene che né il sindaco e né i capipartito contano un tubo. Il patto al quale si legano, è ormai certificato dall'esperienza, ha solo il potere di eludere la legge che vorrebbe il consiglio comunale abilitato (e impegnato) al dibattito amministrativo e alla elaborazione degli indirizzi ai quali deve attenersi la giunta. Fattone il serbatoio dal quale il sindaco deve pescare gli assessori, democraticamente parlando, il consiglio comunale perde “i migliori” e li perde per sempre, perché fatti per un solo momento assessori decadono da consiglieri. Solo questo particolare avrebbe dovuto suggerire prudenza. Ma, si sa, l'assessore ha più visibilità, addirittura inaugura opere pubbliche e fiere di San Giuseppe,  comunque compare nelle foto al fianco del sindaco.

Sempre sulla base dell'esperienza (è lunga la lista di assessori fatti fuori, pur con riserva di voti sufficiente anche ad essere rieletti), mal si comprende la leggerezza con la quale Amina Ingaldi si è messa nella condizione di farsi cacciare da Mastella. E di leggerezza si tratta, perché nessuno con il quale si sia per ipotesi consigliata le avrebbe mai potuto suggerire di mettersi platealmente dalla parte del torto.

In breve, la Ingaldi ha incominciato con una lettera, diretta evidentemente al sindaco, ma che è stata data in pasto (con soffiate, anticipazioni  e citazioni testuali) al mondo intero. Il suo contenuto è l'ultima cosa che ci interessa: la questione della mensa, il fatto che avrebbe voluto una diversa assegnazione di  “deleghe” o che chiedesse da tempo rinforzi nella squadra burocratica, la non premurosa sollecitudine del sindaco a venire incontro ai suoi desiderata.

Il fatto grave è che Amina Ingaldi non s'è resa conto (e nessuno gliel'ha fatto capire) che un assessore è innanzitutto un componente della Giunta, un necessario ingranaggio di un organo collegiale, senza alcuna “personalità giuridica” esterna. Quelle benedette “deleghe” che danno spesso alla testa, facendo perdere il senso delle cose, sono solamente una sommaria distribuzione di materie da seguire e riassumere quando si discute in Giunta dell'andazzo. (Uso questo termine ricordando una sera al teatro romano quando si facevano le stagioni liriche. Al maestro del coro in Cavallereia Rusticana che lamentava la mancanza dello specchietto retrovisore che dalla buca del suggeritore avrebbe potuto cogliere il gesto del direttore-concertatore, questi - era il ben navigato Franco Ferraris - rispose: “Ma che specchietto e specchietto. Basta seguire l'andazzo ritmico”.

Il soggetto giuridico previsto dalla legge è la Giunta, organo collegiale funzionante secondo il principio democratico della maggioranza. Le sedute della Giunta sono segrete (nel senso che non sono pubbliche) e la verbalizzazione avviene in via “sommaria” (non si registrano i pensieri e i sospiri di ognuno). La decisioni sono quelle della Giunta, non quelle dei singoli assessori. Ne consegue che tutto deve avvenire in Giunta e, tranne quando siano necessari atti propositivi o introduttivi di provvedimenti da assumere (che presumibilmente vengono confezionati in anticipo), non sono ipotizzabili corrispondenze, amorose o dispettose che siano. Organi del comune sono il sindaco, la Giunta e il Consiglio. Non sono organi gli assessori.

In qualsiasi organo collegiale vige il principio della responsabilità collegiale. Non basta a far venire meno la responsabilità (né a fini penali né a fini contabili) l'eventuale sottolineatura di un dissenso, sia pure quando se ne richiede espressamente la verbalizzazione. Secondo il mio modestissimo convincimento non avrebbe cittadinanza l'ipotesi di una astensione: quando si decide servono un sì o un no. Ma anche quando si verifica un voto contrario a quello che l'organo porta a casa, vige il dovere della solidarietà. E' questa solidarietà che garantisce la libertà delle decisioni contro i possibili attacchi “esterni”. Una pubblica dissociazione rompe quel patto e produce l'inesorabile conseguenza della estromissione che è consequenziale alla sola iniziativa, nel caso nostro, della Ingaldi.

Il sindaco Mastella non poteva far altro: non per vendetta o per togliersi di torno una che stava dando fastidio, ma semplicemente perché, prendendo atto di una situazione posta in essere unilateralmente, ha il dovere giuridico di trarne le conseguenze. Per sé e per i suoi.

Tutta la pubblica amministrazione (e il Comune con tutte le sue articolazioni fa parte della Pubblica Amministrazione) funziona (e può funzionare) se rispetta le regole della sua secolare tradizione giuridica. Nessuno in uno  stato di diritto (e l'Italia, nonostante tutto, è uno stato di diritto), neanche i pubblici dipendenti (e i pubblici funzionari, anche onorari, quali gli assessori comunali lo sono), possono farsi giustizia da sé. Non è questione di buon gusto. Si tratta di “fondamentali”.

Anche per meglio chiarire di che si tratta, ho proposto qualche tempo fa (discettando di che ce ne facciamo dell'edificio del Seminario Regionale-Scuola Allievi Carabinieri) che vi troverebbe una funzione oggi necessaria una Scuola Superiore per amministratori di enti locali.

MARIO PEDICINI

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